Titolo: L’anima di cartavetro
Autore: Stefania Filippin
Editore: Brè Edizioni
Pagine: 620
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Genere: narrativa (di denuncia della
violenza sulle donne) autobiografico
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In vendita dal 20 ottobre 2021
Beatrice e Giacomo. Babi
e Giagi, due nomignoli che solo gli amici più veri possono condividere. E loro
sono uniti da un’amicizia speciale. I due adolescenti iniziano a guardarsi
intorno, a frequentare altri giovani. Nascono gli amori, le infatuazioni e le
nuove scoperte. Mondi da esplorare che allontanano le persone, troppo impegnate
alla ricerca della felicità. Le prime emozioni fanno affiorare in Beatrice il
passato, atroce, da dimenticare e soprattutto da tenere nascosto. E, insieme al
tempo trascorso, l’immagine dolce di un amico: Giacomo. Cosa farà ora? E il
pensiero di lui torna, prepotente e incalzante. Il destino decide di riunirli e
si ritrovano mano nella mano, sempre pronti ad aiutarsi, disponibili l’uno per
l’altra.
Beatrice crede nel sogno,
nella favola della quale si sente protagonista. Ma non sempre i sogni e le
favole hanno la fine che vorremmo. Una rincorsa, un’intera vita dedicata a
qualcosa che non esiste. La determinazione si trasforma in pazienza per
arrivare poi a diventare rassegnazione e consapevolezza. Perché la violenza
psicologica perpetrata da un narcisista perverso non lascia scampo: ti
annienta. Un’autobiografia dolorosa, in cui la vittima diventa complice del suo
carnefice.
Biografia
Stefania
Filippin nasce a Torino nel 1974. Ha conseguito il diploma di maturità
classica, interrompendo in seguito gli studi universitari in Lettere Moderne
per iniziare a lavorare. Dopo aver trascorso quasi l’intera esistenza a
scrivere per il puro piacere di farlo, nel 2017 si impegna nella stesura di uno
scritto sotto l’impulso di divulgare pubblicamente una storia di amore,
distruzione psicologica e, forse, riscatto. L’anima di cartavetro è il suo
romanzo d’esordio.
Estratto
La
profezia di mia madre si avverò. Ad appena un mese dall’inizio delle lezioni i
professori, eccetto quello di matematica, mi avevano già fatto capire come la
mia presenza in quella scuola non era più gradita.
“Che
cosa ti avevo detto?” mia madre scosse il capo “ci avrei scommesso. Io ti
cambio scuola, Bea.”
“Non
gliela voglio dar vinta, non possono comportarsi così. La prof di filosofia mi
ha dato un’insufficienza pur essendo io preparata sul programma di quest’anno
perché mi ha fatto una domanda sul programma dello scorso anno. Non che non
abbia saputo rispondere, certo non in maniera del tutto esaustiva, però ho
parlato. E il bello è che a nessun altro ha fatto domande riguardo il programma
dell’anno passato. Quello di greco mi ha segnato in blu errori che agli altri
ha segnato come rossi. Non lo possono fare, io sono preparata, studio, non è
giusto!”
“Bea,
non andare contro i mulini a vento, è una battaglia persa, ti hanno presa di
punta e ti bocceranno, purtroppo hanno il coltello dalla parte del manico. Non
ne facciamo una tragedia. D’altra parte anche con questi compagni non ti sei
mai trovata granché bene, o sbaglio?”
Non
sbagliava. Non avevo fatto amicizia con nessuno, la mia unica amica era
Sabrina, che però passava la maggior parte del suo tempo con Dora, la sua
compagna di banco piagnona, Valentina, la ragazza di Gabriele, il figlio della
prof Cataldi e un’altra ragazza che completava l’allegro quartetto. Odiavo
quella classe, sarei andata via senza rimpianti, ma abbandonare era segno di
debolezza, volevo combattere.
“Facciamo
così, Bea. Io comincio a guardarmi intorno, appena capirai che ho ragione,
fammi un fischio e ti tolgo da lì dentro.”
Stavo
di nuovo attraversando un momento poco felice. Marco era lontano, in Somalia,
ci sentivamo molto di rado per telefono, più che altro ci scrivevamo lettere
che ci mettevano una vita ad arrivare. Con Fabio ci si vedeva ogni fine
settimana, ma io ero ormai stanca di quel rapporto totalmente inutile di cui
anche lui non pareva essere entusiasta. Giagi era di nuovo sparito, non mi
aveva più chiamata e io non avevo motivi per contattarlo, Sabrina girava sempre
con le sue nuove amichette e aveva iniziato a frequentare Gabriele di nascosto
da Valentina. Mara si era rivelata per quella che era, Lucia era probabilmente
la sola con la quale avessi mantenuto un rapporto costante e di reciprocità. La
scuola era di nuovo un disastro, questa volta non per causa mia.
Tenni
duro fino a fine novembre, piangevo tutti i giorni. La situazione era grave.
“Ma’,
cambiami scuola, non ce la faccio più” le dissi quel giorno in preda allo
sconforto.
“Era
ora che ti decidessi. Ho già analizzato la situazione con tuo padre. Purtroppo
a questo punto dell’anno non ho trovato nessuna scuola statale disposta a
prenderti, mi sono sentita rispondere ovunque che le classi sono tutte piene.
Non ci rimane altro da fare che iscriverti in una scuola privata. Ho fatto un
giro di telefonate e la migliore mi è sembrata l’Alighieri, in centro città. È
un po’ lontana, ma pare essere davvero valida.”
Era la
scuola in cui andavano Giacomo e Mara. Sarei stata una classe indietro, ma
forse avrei potuto vedere Giagi tutti i giorni. Finsi indifferenza.
“Ma’,
per me va bene tutto, basta che mi togli da lì dentro, mi sto esaurendo.”
“Nei
prossimi giorni andrò di persona alla Alighieri e mi informerò su come fare il
passaggio.”
A
quanto pareva, stava per cominciare un nuovo capitolo della mia vita. Tanto
valeva liberarsi delle cose inutili. Quel fine settimana Fabio sarebbe venuto
da me e lo avrei lasciato.
Venerdì
sera mi telefonò. Aveva una strana voce.
“Bea,
in questo periodo ho pensato molto al nostro rapporto, a noi due. Ho deciso che
non ha più senso stare insieme. Ti lascio.”
Non so
cosa mi prese in quel momento, una rabbia improvvisa, un pensiero non ragionato
mi attraversò la mente.
‘Ma
questo chi crede di essere? Non è Giacomo, che fa di me tutto quello che vuole.
Lui non è nessuno, non si può permettere, non esiste proprio che sia lui a
lasciarmi. Per telefono, poi!’
“Io
invece credo che ti convenga venire da me domani, almeno ne parliamo faccia a
faccia” ero inferocita.
“Non
c’è niente da dire, Bea. Non voglio più stare con te e basta.”
“Sono
incinta” mi uscì così. Ora avremmo visto chi comandava.
“Cosa?”
il panico.
“È
così. Sei ancora dell’idea che non ha senso vederci perché tanto non abbiamo
nulla di cui discutere?”
“Domani
pomeriggio sono da te.”
Era
una carognata. Lo sapevo. Era una bassezza assoluta. Ma non ce la facevo a
subire anche da lui, persino da uno che per me non era nessuno.
Il
giorno dopo alle quindici era a casa mia, puntuale come un esattore delle
tasse.
“Stanotte
non ho chiuso occhio, come potrai ben immaginare. Bea, io sono molto cattolico,
come tutta la mia famiglia, per cui non ha importanza che questa gravidanza non
fosse programmata. Mi prendo tutte le responsabilità del caso. Ci sposeremo
prima che nasca il bambino, prima anche che la pancia sia troppo evidente.”
Ero
divertita. Stronzissima.
“Io ho
ancora due anni di scuola, mi devo diplomare. Come la mettiamo?”
“Potrai
continuare a studiare, finché puoi e finché riesci, potrai diplomarti anche fra
qualche anno, quando il bambino sarà più grande. Nel frattempo io andrò a
lavorare e penserò a tutto. Per la casa non è un problema, i miei hanno una
casa grande, andremo a stare da loro.”
“Scusa,
ti sei posto il problema del fatto che forse io non ti amo?” la sua mentalità
era così lontana dalla mia da non riuscire a comprenderlo.
“Nemmeno
io ti amo, ma questo non ha importanza di fronte a una nuova vita che non ha
certo chiesto di esserci. Anche tu devi prenderti le tue responsabilità. Non
vorrai mica dirmi che hai pensato ad altre soluzioni?” ora pareva seriamente
preoccupato “per me non esiste che tu… tu non puoi…”
Ne
avevo abbastanza. Avevo ottenuto quello che volevo. Lui era lì, si era fatto un
viaggio di due ore e ora avrei potuto lasciarlo.
“Io
non voglio stare con te, non ti amo, per cui la nostra storia finisce qui.”
“Ma
che dici? E il bambino?”
Non so
come fece a non uccidermi. Forse lo spavento era stato tanto grande da provare
solo sollievo anziché istinti omicidi alla notizia che la gravidanza non
esisteva.
Io,
dal canto mio, presi nota. In caso di future storie estive, non trascinarle mai
oltre il tempo e il luogo in cui nascono.
Avevo
voltato pagina. La mia testa già si concentrava sulla nuova scuola, dove avrei
trovato ogni giorno Giacomo.
E io
ero finalmente single.
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