Un amore proibito: la trilogia completa e i racconti
Di Daniela Tess
Self publishing
Genere: romance storico
Pagine: 675
Ebook: euro 4,99; primi giorni in promo a 3,99
Cartaceo: 18,50 euro in promo; poi 20,99 euro
Uscita 15 novembre 2021, disponibile su Amazon anche
con KU
Trama trilogia volume unico
Alyce, secondogenita del conte di Rochford, è una
giovane donna di una bellezza assoluta e perfetta, molto dolce, generosa e
attenta alle esigenze degli altri. Benché educata secondo i rigidi dettami
della nobiltà inglese, è molto determinata a realizzare il suo sogno d'amore, e
nasconde un'indole ribelle capace di non assecondare i desideri paterni.
Lucas, moro e attraente, è uno stalliere che ha
vissuto una vita di stenti e privazioni tanto da diventare duro e cinico.
Di poche parole, non crede nell'amore, ha un'aria
tenebrosa ed è circondato da un'aura di pericolo.
Giorno e notte, luce e ombra... potranno mai
incontrarsi e amarsi?
Daniela Tess esordisce in self con “Un amore proibito:
Origini” a giugno del 2018, cui seguono “Un amore proibito: Orgoglio” e “Un
amore proibito: Oltre”. I tre capitoli, insieme alla pubblicazione speciale
“Racconti di un amore proibito”, sono contenuti in questa riedizione.
Alcuni numeri del successo:
🤍 Oltre due milioni di pagine lette
🤍 1^ nelle classifiche “ebook romantici per
adolescenti e ragazzi
🤍 1^ nelle classifiche “Storie d’amore di
ambientazione storica per ragazzi”
🤍 3^ nella classifica bestseller narrativa
storica di Amazon
🤍 In top 50 bestsellers Amazon( generale) per
oltre 6 mesi
Un amore incancellabile, sarà la sua prossima pubblicazione, prevista entro fine 2021.
Daniela Tess
Lettrice compulsiva e scrittrice di romances. Vive a Roma, della cui storia è un’appassionata. Ama viaggiare, adora l’estate e il mare, elemento che ritiene un toccasana per il suo spirito, un naturale antidepressivo. Sogna una casa con terrazzo dove far spaziare lo sguardo e dove inseguire le sue visioni. Sì perché da quando ha iniziato a scrivere non si è più fermata. Lei non “pensa” alle sue storie, lei le “vive” nella sua mente, le appaiono come film precostituiti. Può solo assecondarle e seguire i caratteri capricciosi dei personaggi che affollano la sua mente. Vorrebbe avere più tempo per leggere e “creare trame” ma è anche consapevole di amare i suoi alunni e ritiene l’insegnamento una “passione” a cui difficilmente potrebbe rinunciare. Vedere occhioni spalancarsi di curiosità ed entusiasmo è un’emozione irrinunciabile nonché una responsabilità grande e gratificante. L’avvicinamento alla scrittura è stato graduale. Dapprima Daniela è stata una lettrice onnivora, amante soprattutto di gialli e rosa. Dopo aver letto migliaia di romances, un bel giorno, in un forum, raccolse una sfida: avrebbe provato a scrivere una fan fiction storica, ambientata nell’Ottocento inglese. Il primo capitolo nacque come d’incanto…finalmente le sue fantasie avevano la possibilità di liberarsi e correre a briglia sciolta. Nel suo primo romanzo ha messo gli elementi per lei ideali di una storia: un’eroina bella, dolce, generosa e determinata a perseguire i suoi ideali e la felicità; un eroe forte, onesto, romantico e passionale; un amore contrastato, inaspettati colpi di scena e tanta introspezione psicologica. Daniela ama scavare nell’animo dei suoi personaggi, rivelarne l’anima nascosta. Nelle sue storie, ricche di “coup de theatre”, spesso nulla è come appare.
- bibliografia completa
1) Un amore proibito- Origini #1 trilogia
2) Un amore proibito- Orgoglio #2 trilogia
3) Un amore proibito-Oltre #3 della trilogia
4) I Racconti di un amore proibito ( due racconti spin off della trilogia)
Sito: danielatess.com
https://www.danielatess.com/
Ig: @danielawritess
https://www.instagram.com/danielawritess/?hl=it
Fb: @danielawritessScheda tecnica della trilogia
Estratto origini
Inghilterra 1810
«Senti, senti, cosa abbiamo qui? Una piccola
rivoluzionaria? Non pensavo che le bamboline avessero anche un cervello sotto
quei frivoli cappellini!» Alyce si girò di scatto, scioccata. Chi aveva osato
rivolgersi a lei in quel modo? Mai nessuno, in tutta la sua vita aveva osato
parlare così duramente alla figlia del conte di Rochford. Stava per rispondere
a tono e rimettere a posto quel villano ma si bloccò, o meglio si bloccò la sua
voce e il suo cuore. Un brivido di gelo, poi di calore le attraversò il corpo
come una scarica. La bocca era secca… ma cosa le stava succedendo? Davanti a
lei c’era un giovane uomo, uno stalliere probabilmente. Era alto, molto più
alto di lei, scuro, capelli neri. Un ciuffo ribelle gli era caduto sugli occhi.
Mentre lo toglieva dal viso, lei notò le sue mani, mani forti, abbronzate,
dure, abituate alla fatica ed al lavoro manuale, ma anche bellissime, con le
dita lunghe e magre. Una volta aveva visto un pianista con mani così, mani che
sapevano sfiorare ed accarezzare i tasti di un pianoforte. Si scosse. Cercò di
rispondere ma aveva la lingua legata. Lo guardò in faccia, negli occhi e fece
un altro errore. I suoi occhi erano neri, duri, freddi, indagatori, due fessure
buie, chiuse, senza luce. Mentre la guardavano non rivelavano nulla di sé ma
sembravano volerle entrare dentro e catturarle l’anima. Come se avesse intuito
l’effetto che le faceva, il giovane fece un sorrisetto ironico. Il suo sguardo
fu più impudente. Cominciò a squadrarla. Le accarezzò il corpo con lo sguardo.
Dove si posavano i suoi occhi lei si sentiva bruciare e formicolare. Continuava
a soppesarla, valutarla, audacemente, sfrontatamente come un uomo, come un
amante, come solo un marito, uno sposo, aveva il diritto di fare, senza il
rispetto e la discrezione che il loro diverso rango gli avrebbe imposto di
tenere. Alyce tremava sotto quell'esame. Era paralizzata. Dopo un tempo che le
parve interminabile sentì John dire: «Lucas, sei impazzito? Cosa ti prende? Non
sai chi è costei? E’ la figlia del conte di Rochford, il tuo padrone! Chiedile
immediatamente perdono! Scusatelo, Lady Alyce, questo ragazzo è appena
arrivato, è il nuovo stalliere e…» «John, non scusarti per me» lo interruppe
Lucas «so bene qual è il mio posto. Scusatemi Lady Alyce, il mio comportamento
è imperdonabile. Vedete» disse con un luccichio malizioso ed ironico negli
occhi «sono un umile e rozzo stalliere, poco abituato a trattare con dame del
vostro rango ma solo con animali e diseredati come me». Così dicendo le fece un
inchino beffardo che voleva sembrare di rispetto e soggezione ma che era, in
realtà, di derisione e disprezzo. Alyce, dopo la confusione iniziale, si sentì
attraversare da un fremito di rabbia. Cosa stava facendo? Permetteva ad un
umile sottoposto di trattarla così? Ricomponendosi, gli rispose: «Non si
preoccupi… signor? Lucas giusto? Capisco benissimo che sia poco abituato a
trattare con delle vere signore. Se vorrà mi renderò disponibile per un ripasso
delle buone maniere… ne ha davvero bisogno! John» disse rivolta al vecchio uomo
con il migliore dei suoi sorrisi stampato sul viso «Potreste preparare la mia
giumenta? Vorrei fare una cavalcata e visitare la tenuta. Dopo tutti questi
anni ho davvero il desiderio di vedere tutti i cambiamenti che ci sono stati».
Mentre parlava con il vecchio stalliere, Lucas continuò a guardare la
contessina e sorrise per il tentativo di lei di escluderlo, voltandogli le
spalle. Dal canto suo non era affatto tranquillo come voleva apparire, né, se
per questo, indifferente.
Nel salone da ballo una raggiante Arianne tornava a sedersi, accaldata, dopo l’ennesima danza con uno dei suoi numerosi corteggiatori. «Zia» disse a Lady Marge «Dov’è finita Alyce? Non l’ho più vista». «È uscita in terrazza con il duca di Tresham» le rispose sua zia con un luccichio malizioso negli occhi. «Capisco» replicò altrettanto divertita la nipote. Sua zia era incredibile: spiritosa, divertente, allergica alle stupide convenzioni ma desiderosa solamente di vedere le persone care felici e di cercare di esserlo lei stessa, per quanto possibile. Si rimise seduta; quella quadriglia l’aveva davvero stancata. Intanto il suo cavaliere, il conte di Felton, era andato a prenderle una bevanda al tavolo dei rinfreschi. Era davvero un tipo interessante: biondo, occhi azzurri, affascinante e spiritoso, forse leggermente viziato, non avendo praticamente mai fatto nulla nella vita a parte aspettare di entrare in possesso della sua eredità; era comunque una compagnia piacevole. Non le faceva battere il cuore ma d’altronde aveva accantonato da tempo quelle sciocchezze. Lei e Alyce in questo erano molto simili. Alyce non aveva accettato compromessi, aveva preferito un’esistenza solitaria a un misero palliativo. Lei sarebbe stata capace di fare lo stesso? Certo non c’era paragone tra la sua sciocca infatuazione di due anni prima e la tragedia, devastante, vissuta da sua sorella. Le si strinse il cuore: magari, chissà… questo duca di Tresham sembrava un tipo davvero interessante e da come aveva guardato Alyce era già totalmente affascinato da lei. Si avvide che stava tornando Lord Felton, allora accantonò quei pensieri e gli sorrise. Intanto dall’altra parte della sala un uomo era appena arrivato. Si era messo anche lui quella stupida maschera, fortunatamente era quasi mezzanotte. Era in ritardo ma non aveva molta voglia di essere a quella festa. Dopo l’ultima, sanguinosa guerra, temeva di essere cambiato, di non essere più lo stesso. Sorrise, salutò alcuni ospiti. Era lì proprio per scuotersi da quell’apatia che lo aveva afferrato dal suo ritorno tra i “civili”. Voleva tornare a essere l’uomo spensierato e allegro di un tempo, la canaglia superficiale e divertente, amante delle donne e della bella vita. Non gli piaceva quel nuovo se stesso riflessivo e cupo, pensieroso. Quella era l’occasione giusta per rituffarsi nei piaceri di una volta e recuperare quella “leggerezza”. Salutò il conte di Wyngate «Vecchio mio, come stai?» «Finalmente sei tornato dai campi di battaglia, caro Adrian… allora? Pronto per mettere la testa a posto? Si dice che tuo padre sia stufo delle tue follie e voglia un erede prima di morire. Vuole essere certo di lasciare il marchesato in buone mani, tu cosa ne pensi al riguardo?» E rise fragorosamente. Adrian lanciò un’occhiataccia all’amico: «Smettila, mi stai mettendo di cattivo umore. Stasera sono qui per divertirmi, intendo ballare e voglio farlo con la dama più bella della serata anzi, con la debuttante più affascinante. Mi divertirò a scandalizzare la madre prendendo la figlia e trascinandola in un valzer pericoloso» rise. «Il titolo di marchese, che presto sarà mio, mi dà una certa rispettabilità» aggiunse con un velo di amarezza che l’amico non colse. «Guarda guarda quella fata laggiù! Uhm, non sembra neanche una debuttante, non è scialba e infantile come le altre, sembra più donna… ma chi è? Penso di non averla mai vista». L’amico scoppiò in un’altra fragorosa risata. «Chi, quella? Non te la consiglio amico mio! Anche se stasera è affascinante e soave ha una lingua tagliente che non ti piacerebbe. Non fa per te credimi». «Invece voglio conoscerla. Ora chiederò a qualcuno di presentarmi: è la donna più bella della festa e sarà con lei che danzerò». «Fermati Adrian, prima di renderti ridicolo. È assurdo che tu non riesca a riconoscerla, pur portando una maschera; per caso in guerra hai perso la memoria? Possibile che non ricordi la contessina Arianne Rochford?». Adrian si fermò, attonito. Per un lungo momento la osservò: e così quella era Arianne. Il familiare senso di disagio che sempre aveva provato nei suoi confronti riemerse; lo scacciò, infastidito. Certo che lei era davvero cambiata. Non era più l’adolescente acerba e insignificante ma era diventata una vera bellezza. Diversa dalla sorella ma comunque una bellezza: i capelli castano chiaro, con riflessi dorati, erano raccolti in un’acconciatura elaborata con boccoli leggeri che le ricadevano sulle spalle. Gli occhi erano nascosti ma quello che poteva intuire del viso lo lasciò a bocca aperta: la bocca era più piena, sensuale, carnosa; indossava un vestito bianco ma su di lei aveva un effetto tutt’altro che innocente, era scollato e lasciava intravedere la pienezza del seno. Le scivolava addosso sottolineando un corpo snello, perfetto. Era attorniata da decine di ammiratori. Una traccia di buon senso gli disse di voltarsi e andarsene ma come al solito scelse la strada più difficile. Nulla era cambiato, disse a se stesso. Non voleva una moglie e non era certo il caso di corteggiare una debuttante, eppure… quando si trattava di lei, non aveva mai fatto la scelta giusta o saggia. Semplicemente gli faceva perdere il controllo della situazione, era irritante ma anche maledettamente eccitante. Aveva proprio bisogno di una sfida per tornare a sentirsi vivo e a distrarsi. Non ascoltò l’amico che gli diceva di fermarsi, seguì un impulso folle e il suo istinto. Arrivò davanti a lei che stava per alzarsi e ballare il valzer con un idiota biondo. Lui interruppe gli sguardi complici che si lanciavano: «Scusatemi Lady Arianne, credo che questo sia il mio ballo». Lei lo guardò stupita, l’incantevole bocca aperta a formare un cerchio perfetto. Era meravigliata e incredula, forse non si aspettava di vederlo. Prima che l’altro cavaliere protestasse, approfittando della confusione di lei, la trascinò sulla pista per ballare, finalmente insieme, per la prima volta.
La sala da ballo rifulgeva di luci, colori, profumi. Jane era con suo marito all’ingresso, in attesa di essere annunciata dal conte e dalla contessa di Carlisle. Era molto emozionata, turbata. Odiava quei ricevimenti, odiava essere al centro dell’attenzione. Quando era solo una stupida ragazza piena di sogni aveva anelato a essere la reginetta della festa, insieme a quello che pensava sarebbe stato il suo principe azzurro. Non che fosse bellissima, lo sapeva. Aveva colori troppo chiari, una pelle troppo diafana, occhi celesti che sembravano quasi trasparenti. Avrebbe tanto voluto essere diversa, mora, voluttuosa, con le curve al punto giusto e non magra, esile, com’era. Forse, se fosse stata diversa, suo marito l’avrebbe amata o quantomeno non avrebbe cercato le altre. Tante altre. Ricacciò indietro le lacrime che minacciavano di uscire. Non era davvero il caso di abbandonarsi all’autocommiserazione. Non più. Era quasi morta quando aveva capito, nel più brutale dei modi, che lui non l’amava, che non l’aveva mai amata. L’aveva sposata solo per i suoi soldi. Glielo aveva detto, e dimostrato, durante quegli anni. Si portò una mano al collo dove portava i gioielli dei Rochford. Era l’unico ornamento prezioso. Una volta era stata graziosa, desiderosa di piacere, di farsi ammirare. Ora era… non sapeva più cos’era. Dentro si sentiva spenta, una vecchia ottuagenaria. Non era la ragazza sognatrice di un tempo. Non amava più i vestiti e non seguiva la moda; tanto tempo prima aveva creduto che se fosse stata à la page lui l’avrebbe apprezzata. Anni di indifferenza, a volte di crudeltà, le avevano ben presto fatto cambiare idea: era e sarebbe stata sempre un topolino, come amava definirla, troppo insignificante, chiusa, timida, per lui. Troppo poco per l’erede di una delle casate più antiche del regno. Tanto perfetto fuori quanto marcio dentro. Lo guardò. Era bellissimo, così bello da farle ancora sentire quella maledetta morsa allo stomaco. Alto, capelli nerissimi, con occhi blu, freddi come il ghiaccio… penetranti, predatori, sensuali, pericolosi. Occhi che la tormentavano di giorno e popolavano i suoi incubi di notte. Occhi che conoscevano ogni centimetro di lei, che le ricordavano il suo abbandono e il suo ferito, giovane amore. Le prese la mano, fredda: quella di lui bruciava. Un brivido le attraversò il braccio. Cercò di divincolarsi. «Calma, topolino» le sussurrò piano perché nessuno sentisse. «Salviamo almeno le apparenze, diamo l’idea di essere una maledetta coppia felice». Già, le apparenze. L’unica cosa che contava. Avevano attraversato un momento difficile, drammatico, due anni prima. Ne erano usciti a fatica, salvando la casa e le proprietà dai creditori. Jane non sapeva come lui avesse fatto. Sospettava che fosse una tregua, in attesa della vera catastrofe. Codardamente preferiva ignorare ogni cosa che riguardasse suo marito. Ciò che si ignorava non poteva fare male. Come cambiavano i tempi! Una volta desiderava conoscere tutto di lui; ora preferiva non sapere nulla. Se non avesse avuto paura che le impedisse di vedere i suoi figli lo avrebbe lasciato. Sarebbe scappata lontano da quell’uomo che odiava con la stessa ferocia e intensità con cui lo aveva amato. Lui non si confidava con lei. E ora neanche lei anelava a quello. Le faceva paura e cercava di stargli lontana. Ma forse, a farle paura, era qualcosa dentro di sé che non era ancora morto, che non era ancora stata capace di uccidere. La stretta sul suo braccio si intensificò: era il loro turno. Si preparò a esibire il suo sorriso migliore, pregando che quella serata finisse presto. Voleva essere a casa, a Rochford Manor, con i bambini. L’indomani sarebbe stata domenica, avrebbe voluto partecipare alla funzione, parlare con il curato delle famiglie bisognose della contea. Aveva tante idee, amava occuparsi degli altri, la faceva sentire utile, “necessaria”, le dava un posto nel mondo, uno scopo. Furono ricevuti e annunciati; insieme, sempre con la mano di lui che le teneva il braccio, arrivarono nello splendido salone. Non avevano potuto declinare quell’invito. Era obbligata, dai voti pronunciati, ad accompagnarlo a quegli eventi anche se li detestava. Come un perfetto marito, Philip la condusse nella danza d’apertura; era un ballerino magnifico al cui confronto lei spariva. Faticava ad adeguarsi ai suoi passi lunghi, alla sua andatura sensuale, prepotente. Ballava così come faceva l’amore: aggressivo, imperioso, dominante, con un perfetto controllo di ogni muscolo. Arrossì. Come le era venuta quell’idea? Erano secoli che non visitava più il suo letto. Ora gli serviva solo come moglie da esibire e nient’altro; gli aveva dato due maschi sani, non occorreva che si sforzasse ancora per giacere con lei. «Cos’hai?» Le chiese. Era incredibile come, pur ignorandola, sembrasse sempre accorgersi di tutto ciò che la riguardava, sembrava sempre leggerle dentro, come nessun altro sapeva fare. Forse, insieme al suo seme, aveva accolto una qualche specie di veleno, che gli permetteva di controllarla, di sentirla, di averla sempre alla sua mercè. Arrossì ancora di più per la sconvenienza di quel pensiero. Cosa le succedeva? Non faceva mai pensieri così volgari. Non era come le donne di cui lui amava circondarsi. Eppure era la verità: si sentiva marchiata, posseduta da qualche strana malìa, avvelenata nel profondo, incapace di sottrarsi a un incantesimo malvagio. Alla fine della quadriglia, sempre insieme, andarono a salutare delle coppie di vicini e conoscenti. Subito si ripeté la scena a cui era tristemente abituata: le donne adoranti che occhieggiavano suo marito, che gli parlavano, che lui stuzzicava, con cui rideva. Era brillante, colto, affascinante, con un gran senso dell’umorismo. Tutte doti che non aveva mai sprecato con lei. Sussultò quando la viscontessa Berkeley si avvicinò seducente a lui. Un lampo di riconoscimento e un sorriso predatorio apparvero negli occhi di Philip. Dunque era quella la sua ultima amante. Le chiacchiere che le sue premurose amiche le avevano riportato erano vere. A un tratto vide che la nobildonna si era fatta strada fino a lui che, circondato da dame bellissime, le stava intrattenendo con aneddoti divertenti, dimenticandosi di sua moglie, relegata in un angolo, fuori da quel cerchio di chiacchiere oziose. Ma la goccia che fece traboccare il vaso fu vedere quella donna mora, affascinante e voluttuosa, il suo esatto contrario, poggiare le sue grazie esposte da un corpetto scollato sul braccio del marito. Che spudorata! All’improvviso si sentì un pesce fuor d’acqua: odiava quella gente, quella falsità, quell’ipocrisia, quella mancanza di rispetto! Si sentì soffocare: non poteva avere un attacco di panico, non lì, non in quel momento, non di nuovo dopo tutto quel tempo! Senza avvisare nessuno, e ignorata da tutti, scappò dal salone per sfuggire alla ressa e cercare di ricomporsi. Philip vide con la coda dell’occhio Jane avviarsi triste e sconsolata fuori dalla grande sala. Una stilettata in quel buco nero che chiamavano cuore lo sorprese; non avrebbe dovuto provare nulla, non certo rimorso, o dolore. Sapeva cosa aveva visto lei. Susannah, la sua ultima amante, spudoratamente stava mettendo in mostra le sue grazie. Jane non poteva sapere che erano mesi che non ne approfittava, non poteva sapere che quella recita, da parte di lui, era solo a beneficio suo, per tenerla lontana. La sentiva sempre di più, sentiva ogni suo sussulto, ogni dolore, leggeva il suo viso e il suo corpo come un libro aperto. Non era entrato solo nel suo corpo ma nella sua anima. E quello lo faceva infuriare. Non voleva appartenere a nessuno, non poteva. Era un’anima nera, maledetta e se davvero gli importava almeno un poco di sua moglie avrebbe dovuto tenerla lontana da lui e dalla sozzura immonda della sua anima. Le aveva fatto troppo male. Non sapeva fare altro che male. Lo aveva fatto persino alla sua stessa sorella, Alyce, con cui aveva un legame di sangue. Eppure stette pazientemente ad aspettare che lei tornasse, lanciando occhiate discrete verso le arcate di ingresso del salone. Cominciò a tener conto del tempo che passava. Una sottile ruga di preoccupazione gli corrugava la fronte mentre fingeva di flirtare con quelle donne, mentre le paragonava a sua moglie e ne uscivano sconfitte, tutti pavoni troppo colorati di fonte a un usignolo dolce e delicato. Tutte scollate, con seni perfetti esibiti senza pudore da scollature troppo provocanti, tutte con cipria e belletto. Jane era la formidabile eccezione con il suo vestito semplice, i capelli raccolti e la pelle d’alabastro. La sua Jane che non seguiva la moda, ma che era la più bella e desiderabile di tutte.
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