"Per sei anni non ho amato niente come questi personaggi. Arrivano sparati al lettore attraverso l’energia della Storia e la forza delle loro vicende private. Sulla pagina diventano persone e poi una scheggia di memoria. Per ricordarci quanto avremmo nascosto, mancato di noi."
Alessandra Carati
Quella che Alessandra Carati racconta è una piccola storia nella Grande storia. È la vicenda di Aida, una bambina bosniaca costretta a fuggire dal suo Paese nel 1992. In meno di dieci anni una guerra terribile polverizzerà la ex-Jugoslavia, rendendo impossibile per gli esuli il ritorno a luoghi e esistenze cancellati per sempre.
Per Aida e sua mamma, raggiungere il confine con l’Italia è una notte infinita di buio, di ignoto e di terrore, ma è lì che la aspetta il padre per portarla in salvo. Grazie a una combinazione di scaltrezza, insperati aiuti e fortuna, Aida arriva a Milano, che per le centinaia di esuli sa essere tante cose diverse: un mondo indecifrabile, un rifugio temporaneo, un esilio obbligato e indigesto. O nessuna di queste tre cose, come accadrà a lei.
Perché Aida deve crescere all’improvviso, in un Paese straniero, nel dolore e nella confusione di un trasloco coatto, che rovescia le vite dei suoi genitori e di tutta la sua famiglia, di qui in Italia e di là in Bosnia.
Tutti hanno dei vuoti da colmare, ma solo Aida sembra capire che la sottile nostalgia di cui soffrono i suoi genitori è una malattia inguaribile, la ricerca di un altrove irraggiungibile. Tenacemente, sola, Aida troverà una strada per diventare adulta – a un prezzo altissimo.
Con E poi saremo salvi Alessandra Carati dà vita a un mondo di esuli così vero e toccante da essere destinato a rimanere a lungo impresso nella mente de lettore.
Pagine dense, che si insinuano sotto pelle e accendono in noi schegge di memoria.
Per farci riflettere sugli orrori di una guerra devastante, consumata alle porte di casa nostra e troppo presto dimenticata e sulla continua ricerca dell'identità con cui ogni esule è costretto a fare i conti per sopravvivere alla propria vita.
Un romanzo capace di inghiottire: Alessandra Carati racconta E poi saremo salvi

A sei anni, all’improvviso, Aida deve scappare dalla guerra; in una notte perde l’unico mondo che abbia mai conosciuto. Con lei ci sono i genitori e il residuo di famiglia che è riuscito ad attraversare il confine.
Il nuovo Paese è per tutti una risacca sentimentale, meno impetuosa della fuga ma non meno disperata.
Ciò che è sparito, cancellato da bombe e deportazioni, diventa di colpo reale: l’origine perduta, l’unica heimat possibile.
La condizione di esule si abbatte sull’intera famiglia. Il padre è consumato dalla rabbia, la madre da una tristezza fatale, lo zio dal vino, il fratellino appena nato da una frenesia incontrollabile.
Aida capisce presto che per sopravvivere deve trovare un rifugio. Il suo bisogno si salda con quello di Emilia, una volontaria buona e accogliente, e divoratrice. Emilia è una seconda casa, come l’Europa. Ma nessuna storia d’amore è profonda e duratura quanto quella dell’infanzia. Mentre vede sua madre sgretolarsi, Aida lotta contro il feroce desiderio di lei, giovane e misteriosa, fisicamente vicina e al tempo stesso inaccessibile. Fino a un bivio, o guarire o morire.
E poi saremo salvi è epopea, saga familiare, storia di formazione.
La narrazione si muove per quadri, che corrispondono alle progressive età di Aida, momenti in cui la vita scarta con violenza e la lascia a terra, tramortita; nel passaggio dall’uno all’altro ci sono ellissi, vuoti, dove si annidano cose cruciali, che esplodono nel non detto.
I quadri procedono a passo serrato, sono zeppi di fatti. Li ho ammassati per non dare respiro, perché mi premeva che il lettore fosse incalzato a proseguire e potesse abbandonarsi a un racconto quasi classico nella sua forma; mi premeva che potesse entrare in contatto con la pelle della storia e che ci restasse attaccato.
Serviva sprofondare in un mondo organico, servivano azioni e situazioni attraverso cui rivelare i personaggi, e poi giù fino al battito dei corpi.
Li ho cercati lungo la Drina, ho pranzato con famiglie di sopravvissuti, mi sono affacciata alle finestre delle loro case, sono andata a visitarne i morti.
Dall’incontro è nata una lingua piana, trasparente, quasi invisibile. Ho tagliato la bella scrittura, ho tagliato di più. Volevo un romanzo che fosse capace di inghiottire. Se fossi riuscita a creare qualcosa di potente e vitale, forse mi sarebbe stato concesso di accedere a una comprensione più intensa della loro esperienza, e di un passato recente che da noi si è presto eclissato.







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