Titolo: Archi di sangue
Autore: Giuseppe Pantano
Editore: Brè Edizioni
Pagine: 210
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fisiche
Genere: thriller-noir-violenza domestica
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In vendita dal 25 ottobre 2021
Sinossi
Caterina
e Antonia: donne unite da uno stesso destino. Persone che, solo per il fatto di
essere nate femmine, sono costrette a subire violenza. Sullo sfondo, lei,
Giuseppina, l’eroina che combatte il mostro Carmelo. Che si adopera per salvare
delle vite, che crede e lotta al fianco delle vittime. Una vicenda che inizia
nel 1963 e si conclude ai giorni nostri e mette in evidenza come le cose non
siano molto cambiate: il maschio padrone esisteva allora come oggi. E non
importa se il violento è il tuo patrigno o il compagno, l’aggressività è da
condannare. Sempre. Abusi e maltrattamenti che originano faide familiari,
scandali e omicidi. Soprusi che danno vita a un thriller dove tante persone,
troppi individui innocenti sono costretti a pagare anche a causa di forze
dell’ordine corrotte, che non si fanno scrupoli a contaminare o nascondere le
prove. Un giallo per rimarcare ancora una volta l’orribile piaga che dilaga
anche nella società odierna.
Biografia
Giuseppe
Pantano nasce a Roma il 27 settembre 1963. È laureato in Economia e Commercio e
attualmente riveste la carica di Direttore all’interno del gruppo
automobilistico Renault-Nissan-Mitsubishi. Dopo 4 anni di Ford e 25 anni di
Nissan ora è a capo di un ruolo internazionale in seno alla sede centrale di
Nissan a Parigi. Divorziato, con 2 figli, vive a Milano con la compagna ed è un
grande appassionato di tennis, sci e narrativa thriller/giallo. Nella sua
carriera ha avuto l’opportunità di viaggiare davvero molto, scoprire tante
città europee e di vivere per anni a Parigi, imparando a conoscere in
profondità le dinamiche di una azienda multinazionale di importanza planetaria.
Archi
di sangue è il terzo romanzo del genere thriller. Ha già
autopubblicato Il Tempo rubato e La morte non ti lascia sola,
edito da Another Coffee Stories. Ha già partecipato a svariate presentazione
dei suoi romanzi, sia a livello locale, con pubblicazione degli eventi su Il
Tirreno, ad agosto 2021, che nazionale, con la partecipazione alla trasmissione
del TG5 “La Lettura” condotta da Carlo Gallucci.
Il
suo profilo è presente su tutte le piattaforme social e la sua passione per il
thriller viene diffusa anche attraverso il canale personale youtube con
migliaia di visualizzazioni.
CONTATTI:
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Estratto.
Anche
la sua presenza in ascensore stava diventando insopportabile. L’odore acido e
ributtante di grappa mista a birra, a quell’ora del giorno, aveva inondato in
pochi secondi l’angusto spazio della cabina. Antonia premette il pulsante
numero 5 e si girò verso la porta automatica dando le spalle all’uomo
barcollante. Chiuse un attimo gli occhi e si immaginò lontano, in un posto
diverso, a migliaia di chilometri da quella puzza vomitevole e da quel rudere
umano che stava salendo insieme a lei, nella sua casa, nella sua vita. Si
sentiva svuotata. Ormai anche gli ultimi tentativi di ricucire il rapporto con
Alberto sembravano inutili quanto cucchiaini adoperati per svuotare il letto di
un fiume in piena. La fiammella di un amore rimasta accesa solo grazie alla tolleranza
e al suo desiderio di tranquillità, si stava spegnendo. Non ci sarebbero stati
più il tempo e il modo per riaccenderla. Questo la intristiva ma soprattutto la
preoccupava. Come avrebbe affrontato l’argomento con quell’uomo che, alla
minima parola fuori posto, l’avrebbe colpita con la sua instabile e irrazionale
violenza? Quali parole avrebbe dovuto usare per evitare conseguenze spiacevoli?
Quale sarebbe stato il momento più propizio per convincerlo a fare le valigie e
lasciarla sola nella sua casa? Si rese conto che rispondere a quelle domande
banali, non era affatto facile. Tuttavia si sentiva stanca. La sua stanchezza
non era una semplice défaillance
fisica, era una spossatezza mentale che si ripercuoteva sulla sua capacità di
raziocinio. Stava per raggiungere quel limite, di nuovo. Quel limite superato
tanti anni prima, quando la violenza su di lei era stata perpetrata per la
prima volta in un luogo oscuro, dove era stata costretta a subire. Sarebbe
successo ancora una volta? Pensava che le sue preghiere l’avrebbero liberata
per sempre dall’angoscia di doversi trasformare nella bestia che odiava. Il suo
terribile segreto era custodito nel suo più intimo anfratto della memoria. Non
era raggiungibile da niente e da nessuno. Solo lei era in grado di riportarlo
alla luce. Ma non aveva mai voluto farlo. Aveva pregato per tutta la vita
affinché non dovesse più fare ricorso a quella sfera recondita del suo animo.
Adesso però, quel cumulo di macerie stratificate per seppellire la bestia erano
state rimosse. Ne rimaneva solo una piccola quantità. Lei sapeva che quel
residuo non sarebbe stato sufficiente a fermare la furia nascosta dentro di sé
nel momento in cui avesse dovuto subire ancora. Quando aprì la porta di casa
aveva un viso impassibile e serio, mentre l’uomo ubriaco alle sue spalle
spingeva dietro il suo corpo per entrare in casa. Antonia strinse i pugni e
socchiuse gli occhi, facendosi forza per sopportare ancora. Poi se ne andò in
cucina lasciando che Alberto si sdraiasse sul divano in soggiorno. Prese a
compiere le sue solite azioni: preparare il pranzo, apparecchiare, sgomberare
il lavello e nutrire il gattino. Si rivolse all’animale che si stava
strusciando sui suoi polpacci.
«Ciao
piccolino, vuoi la pappa? Vieni che la mamma ti dà i croccantini». In quel
momento fotografò la scena del micio tra i suoi piedi e la memoria la riportò a
molti anni addietro.
«Micetto, vieni da me? Micetto hai
fame? Non aver paura ci sono io qui che penso a te. Vediamo un po’ cosa ti
posso dare.»
Aveva aperto quel fagotto,
confezionato al refettorio il giorno prima, proprio per il suo amico
animaletto. Lei non aveva molti amici in quel posto oscuro dov’era costretta a
vivere. Come lei, altri bambini sfortunati e dimenticati dalla società
cercavano segnali di esistenza e di conforto in quello che trovavano nelle
interminabili giornate trascorse in quel posto. La sua sola amica era stata
Tilde, una bambina di cinque anni, arrivata due anni prima, poi però andata via
con la coppia che l’aveva adottata. Antonia, che aveva otto anni, era una delle
bambine rimaste a Badia per più tempo. Questa condizione avrebbe dovuto
confortarla date le responsabilità che le suore assegnavano ai bambini più
grandi. Tuttavia le monache alimentavano una specie di crudeltà innata, forse
dovuta alla frustrazione di una vita spesso programmata dalla decisione di
altri, e questo ne causava accanimento nei confronti di bambini come lei, più
adulti e ospiti da sempre di quel posto. Il fatto che lei fosse arrivata fin
dai primi giorni di vita e che fosse stata trovata davanti alla porta
dell’istituto ne faceva, agli occhi delle religiose, una privilegiata in quel
mondo di dolore e di sacrificio. Una ragazzina che andava “educata” e formata
alle durezze della vita. Dopo tutti quegli anni in attesa di essere adottata,
le suore la consideravano uno scarto. Una che nessuno voleva. Perché le coppie
si presentavano sempre per l’affido di bimbi maschi o più piccoli, da crescere
in casa sin dalla tenera età. Lei invece era già alta e bella matura. Prenderla
poteva rappresentare un’incognita. Questo le suore lo avevano capito e
tendevano ad addebitare ad Antonia quella sorta di colpa. Il suo destino
sarebbe stato quello di farsi suora. Quindi quelle lezioni di disagio e
sacrificio le sarebbero servite a forgiare la sua tempra da religiosa
integerrima.
«Allora Micetto, oggi ti battezzo nel
nome del padre, del figlio e dello Spirito Santo». Aveva preso dell’acqua e ne
aveva versato due gocce sulla testolina del cucciolo. Un momento dopo sentì una
voce gridare dietro di lei.
«Ma che fai piccola peste? Come ti
permetti di essere blasfema e di offendere i sacramenti divini?». Era suor
Giovanna, arrivata proprio in quell’istante.
«Ma io stavo solo accogliendo questo
piccolo animale nel regno di Dio» aveva detto cominciando a piangere. Arrivò
uno schiaffo, forte e secco sulla sua guancia sinistra. La suora aveva ripreso
a rimproverarla.
«Sei sempre la solita diavola, così
rischi tu di non entrare nel Regno dei Cieli» poi aveva ripreso con le parole
di ammonimento «adesso vai su nel dormitorio e recita cinquanta Pater
Noster. Oggi salterai il pranzo, tanto
vedo che non sai che fartene del cibo. Poi ti proibisco di avvicinare ancora
quella bestia. È malato, potresti buscarti qualche malattia e magari contagiare
anche le tue compagne.» Era tornata a testa bassa verso la sua branda. Aveva
sentito, per la prima volta, un dolore forte venire da dentro. Qualcosa di
acuminato che spingeva dal profondo delle viscere cercando di farsi strada per
esplodere. Non capiva cosa fosse ma ebbe la sensazione che quella forza potesse
scatenarsi e lasciare solo dolore, immenso dolore intorno a sé.
Si
riebbe dai pensieri. Cominciava ad avvertire un forte mal di testa. Cosse la
pasta, la scolò e la versò nel piatto. La condì con della salsa di pomodoro che
aveva scaldato appena sul fornello e la portò in soggiorno. Alberto era lì,
steso sul divano, con gli stessi occhi a mezz’asta di prima e di sempre. Quelli
che tradivano il suo aver alzato il gomito e la conseguente indolenza
impadronitasi di lui ormai da troppo tempo. Antonia non sentì nemmeno le parole
che la bocca di quell’uomo stava pronunciando mentre si alzava dal sofà per
andare a sedersi al tavolo. Lei era entrata in una specie di trance, uno stato
catatonico che le permetteva di muoversi in modo meccanico, estraniandosi del
tutto da ciò che stava accadendo attorno a sé.
«Ma
tu non mangi con me?» stava dicendo Alberto. Lei non si curò di rispondergli,
aveva solo un obiettivo in quel momento: andarsene in camera per stendersi sul
letto e chiudere gli occhi, nella speranza che l’emicrania se ne andasse
velocemente, così com’era venuta.
«Che
fai non mi rispondi?» continuò l’uomo, rivolgendosi alla compagna che sembrava
assente, strana, lontana.
«Ehi,
parlo con te, sei viva?» niente, non ottenne risposta.
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