Titolo: Gli idoli sbagliati
Autore: Alberto Barina
Editore: Place book publishing
Genere: Silloge poetica
Data di pubblicazione: 30 novembre 2020
Romanzo: Autoconclusivo
Formato: Ebook 4,90 euro
Cartaceo 10,40 euro
TRAMA
RECENSIONE
Sono rimasta piacevolmente stupita da questa silloge
poetica, che trasforma la poesia in sapienza psicologica, filosofica intra -
culturale moderna, ma al contempo riassume in versi abbastanza brevi, ma
potentissimi, la brama di vivere, l’esistenza del passato. Ho vissuto,
leggendo, e assorbendo nel cuore e nell’anima, le conoscenze e gli studi
magistrali del liceo, rivivendo sulla pelle e sulle note delicate ma anche
forti, pesanti, che scrutano nell’intimo del lettore, l’atavica sapienza degli
antichi, il costruire con il fuoco tutto il necessario e il sovvertire per
ossimoro morale quel Fahrenheit che invece i libri non li leggeva ma li metteva
al rogo.
“Una lacrima che pizzica
Vibra come il fuoco in un inverno
Dentro una tazza di neve.
Una nota bussa, se ne sta sola,
girovaga bolla apparente nel vuoto,
ma cattura nel soffio
tutto il tempo
necessario alla musica, alle corde.”
Poesie cavernicole ma che si liberano dei
pregiudizi, si liberano totalmente. Hanno lo spazio necessario per essere, per
esistere, per innalzarsi a mo’ di braccio di donna, di donna che, rosa
d’ottobre, chiede i suoi diritti di voto. Suffragetta addolorata ma che con le
spine sa difendersi piuttosto bene.
Versi che con poche figure retoriche che balzano all’occhio, rivelano
tutto l’entusiasmo e il classicismo del poeta, che maturando episodi di vita
altrui e facendoli suoi, anche negli Epitaffi, non nasconde il vero intento
della sua opera: tradurre messaggi, veicolarli. Essendo fautore di buone opere,
egli è come un eroe, un angelo che sa benissimo cosa sia l’infinito in tutta la
sua parte d’anima e anche corporale.
Paradiso, inferno, vita poetica e artistica. Idoli
sbagliati che si scontrano con altri
idoli ingiusti, che su piattaforme come Spotify inneggiano alla bellezza che
ormai sembra un’apparenza sottile, specialmente su Tik Tok, e l’autore sembra
voler inaugurare un bando contro la superficialità, contro la sagra della
miscredenza, la fiera della vanità e della banalità che così tanto sembra far gola
molti, se non a quasi tutto il mondo.
In questo voler includere la modernità, spalmarla
addosso alla cultura antica, all’uomo delle clave, delle caverne, il voler ‘denunciare’ quelle false speranze e gli
abomini che tutt’ora si propagano nell’arte moderna, che di arte ha ben poco,
lo stile risulta talmente vero, talmente cocente e pungente, ma anche
sofisticato seppur dolce e giusto, da assomigliare a mio avviso a un pamphlet
per certi versi, quel manifesto francese, quell’opuscolo che criticava in maniera
intelligente.
“Quando anche un ricordo richiede il codice pin dalle democrazie
Svendute in borsa dallo status symbol dell’insulto bulimico dagli smiles e dai pollici opinabili del consenso di un amico che blocchi e poi chatti dal senso di vuoto di selfie dei nostri stomaci da narcotrafficante meccanismo reality dall’archivio cimiteriale
Di foto fossilizzate sullo Smartphone.”
È difficile trovare le frasi giuste per questa silloge, non è semplice da
recensire a mio avviso perché la pluralità dei generi, delle azioni compiute
all’interno della ‘parola’ che è ‘verbo’, che sembra più materia che carne in
questo caso, più ingegneria e matematica che riflesso idealistico di un
pensiero non fisso su qualcosa di coerente, rendono il complesso dell’opera
appunto complesso e da un certo punto di vista anche tessuto come se al posto
dell’autore e del poeta ci fosse un ragno bravissimo nel suo lavoro.
Quando mai si è visto qualcuno che possa
interrompere il corso della natura o far meglio del ragno? Impossibile perciò
arrivare con le mie parole allo stesso livello del poeta, che giustamente
decanta con criterio e realismo, senza sentimentalismo smielato o dolcezze
stravaganti e stupide, ma piuttosto guarda al presente con occhio di riguardo
verso il futuro, parlando però di artisti ormai defunti.
È la poesia dentro la poetica, che cela, disinibita
ma mai affranta e anzi con il capo ben teso verso l’alto, gli elementi
raffinati della sua stessa raccolta, cogliendo il meglio e il peggio da ciò che
la circonda.
“E mi vedo come parola
Appesa,eremita,
nella didascalia di un erbario
torre, imperatrice
nella chimica degli oggetti che
chiedono infantili un’ombra.”
Da quel mondo spesso sadico che di poetico ha ben
poco.
VOTO IN COCCOLE: 5
ROBERTA CANU
* Ringraziamo l’autore e la casa editrice per la copia digitale dell’opera *
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