Per quanto avessi immaginato che prima o poi sarebbe successo, non credevo proprio che quel maledetto giorno sarebbe arrivato. Non sentivo il ticchettio del vecchio pendolo, non percepivo i passi degli inservienti lungo il corridoio; sentivo solo i miei pugni che pian piano si stringevano sempre di più. Era impensabile che lo stesse facendo davvero, dopo tutto quello che avevo passato. «Quando?» chiesi, serrando forte i denti; si sarebbero frantumati, se avessi insistito un po’ di più. «Tra qualche settimana, spero. Deve ancora accettare, ma se conosco abbastanza Harper, sono certo che verrà.» Avrei potuto sopportare tutto, chiunque, ma non quella estranea tra i piedi, non così, non in quel momento. «Ian, ti prego, cerca di comportarti bene… fallo per me.» Non potei dire niente, non potei controbattere. Annuii, in silenzio, e uscii dal suo ufficio. Avevo bisogno di fumare, di camminare, di prendere a pugni qualcuno. Sbattei la porta un po’ troppo forte, ma non poteva fregarmene di meno. I miei piedi sbattevano sul pavimento posato da poco, privo di tappeti e di quant’altro. Intravidi Sally, la donna delle pulizie, avvicinarsi, ma finsi di non vederla, e in pratica corsi verso le pesanti porte a vetro. Aria. Un’intensa boccata d’aria pungente mi riempì i polmoni, e in un attimo avevo la sigaretta tra le labbra. Dovetti tentare un paio di volte, prima che la fiamma restasse accesa… vento del cazzo. Non avrei mai pensato di vederla in carne e ossa, e sarebbe successo di lì a qualche giorno… non ero pronto. Non volevo conoscerla. Frank me ne aveva parlato così tanto che ormai era come se la conoscessi, ma incrociare il suo sguardo era tutto un altro discorso. «Che succede?» Mi voltai, trovando il viso preoccupato di Kim a pochi passi da me. Era uscita senza giacca e si stava stringendo le braccia ossute intorno al petto per scaldarsi… era troppo magra per vivere in Alaska. «Lei sta venendo qui.» Non serviva che dicessi il nome, Kim avrebbe capito. «Oh...» Fu la sua risposta. Il volto era una maschera di paura e dispiacere. «Cosa viene a fare?» chiese, sfregandosi le braccia. Da quando avevo saputo della sua esistenza, fin da quando eravamo bambini, mi era sempre sembrata quella più forte, una dura. Speravo che non fosse cambiata. «Viene a organizzare l’inaugurazione.» Sussultò, ma non disse nulla. Si strinse il labbro inferiore fra i denti, mentre io feci un altro tiro di nicotina. «Cos’hai intenzione di fare?» Quella era la domanda da un milione di dollari. Non lo sapevo, ma avevo ancora un po’ di tempo per pensarci. Dovevo solo tenere duro e fare in modo che, come era arrivata, se ne andasse in maniera altrettanto veloce. |
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