Coccolosi amorosi dudù
dadadà, so che aspettate i nuovi capitoli di questa storia appassionante come foste assetati in cerca di acqua
nel deserto, per questo, visto la mia immensità, eccovi accontentati e ancora
una volta "ruberò" la frase della bravissima Nina Solamente, BUONA LETTURA ANIME…
Capitolo 3
Le sei del mattino.
La quercia alle sei del
mattino diviene un posto incantato.
Basta armarsi di coperte
e caffè e raggiungere il lago per assistere ad uno vero e proprio miracolo
naturale.
La brezza notturna mista
all’aria fresca e pura del mattino, le gocce di rugiada divenute cristalli che
creano un effetto a specchio sulle foglie di pino, la lunga distesa di ghiaccio
sembra quasi tracciare il sentiero per arrivare al lago e le panche di legno
indicano l’arrivo: è li che tutto nasce e tutto muore.
Alle sei del mattino il
sole si innalza ma in realtà sembra partorito dal lago e da quella madre si
distacca per arrivare a toccare il cielo, per illuminare i campi, per
riscaldare i gabbiani che abbandonano La Quercia. Terminato il suo lavoro, di
notte, quel Sole sembra ritornare al seno materno, accolto da quell’acqua cupa
e spettrale che lo lascerà andare l’indomani, ancora una volta, come tutte le
mattine, certa che quel figlio tornerà ad immergersi in lei, tornerà a
risorgere da lei.
Le sei del mattino. Non
sono al lago, non sono immersa nei campi di gelsomino, non respiro aria pura ma
sto comunque assistendo ad un miracolo.
La mia camera è di fronte
a quella di Riccardo e Naomi ma è la più distante, ci dividono le stanze di
Baster e Sergio e quella di Jack e Giulia, che quasi da arbitri, sono al centro
di quel che sembra essere una vera guerra civile del cuore.
Le sei del mattino ed io
sono ricurva verso la porta, ho sfilato la chiave e puntato gli occhi alla
toppa: un buchino così piccolo dal quale riesco a vedere il mondo.
Dite che sono pazza?
Probabile… ma non sono l’unica.
Da almeno un’ora c’è
Riccardo che percorre e ripercorre il ballatoio che ci divide. Arriva alla
porta di Jack e Giulia, all’altezza delle scale, supera di poco quella di
Baster e Sergio ma poi ritorna indietro. Ed ogni volta sembra sempre più faticoso
ripartire dalla stanza con vista lago, la sua stanza… e raggiungere me.
Ci distanziano quindici
passi ma quel fisico robusto ed atletico non ne vuole sapere. Nel silenzio
assordante quello scricchiolio di passi risuona nella mia camera quasi avvertendomi,
quasi dicendomi: sta tornando! E così ho appena trascorso la mia prima notte
insonne a La quercia ma no, non sono stata l’unica.
Riccardo ha qualcosa tra
le mani: è una busta enorme trasparente richiusa da un nastro adesivo rosso con
su scritto D & R: le nostre iniziali. Riconosco la mia sciarpa blu e bianca
all’interno dell’involucro: Riccardo ne andava matto. Distinguo la tuta nera e
bianca che il mio uomo riuscì ad indossare una sola volta: l’amavo così tanto
che la indossai per un intero mese, costringendo Riccardo a comprarsene
un’altra. Quella busta contiene la nostra storia, i nostri odori, la nostra
intimità. Quando gli stampai quel bacio, in quella calda mattina di Agosto, non
immaginavo di perderlo: l’avrei stretto più forte, trattenuto più a lungo e
avrei portato con me, almeno il suo profumo e qualche maglia. Di Riccardo mi è
rimasta solo una canotta nera, troppo grande per il mio corpo ma troppo
importante per distaccarmene anche solo per una notte. Si, avete capito bene,
nel freddo gelido di dicembre, mi copre una sola canotta, che ha perso il suo
odore ma riesce ancora a trattenere il suo ricordo e tra le lenzuola vergini
ove affondo, mi pare ancora sentire le sue braccia che mi stringono, mi
trattengono, mi riscaldano.
Appena supererà la camera
di Baster, aprirai quella dannata porta, Daisy! - mi ripeto da circa un’ora.
Ma stavolta lo farò sul
serio: la mia schiena non regge ed il cuore sta per cedere. Riccardo continua a
roteare su sé stesso, continua a torturarsi le mani, morsicando quel che resta
delle cuticole, guarda il ballatoio e poi la mia porta e poi ancora la busta.
Ha su indosso dei pantaloni di una tuta: non ha mai dormito vestito da quando
lo conosco, ma adesso non sta dormendo, sta andando a parlare con un’estranea:
quell’estranea sono io.
Fa qualche passo verso la
porta di Jack e Giulia. - Dai, puoi farcela, bastano ancora pochi passi!- tento
di incentivarlo con la forza del pensiero. - Pochi passi ancora, maledetto
amore mio-
Con un piede ha superato
la camera di Baster, non voglio torturare più il mio corpo e la mia mente, non
ci penso poi così tanto, mi metto ritta e di scatto apro la porta, provocando
in Riccardo una certa scossa di paura. Il suo corpo trema per qualche istante
prima di stabilizzarsi, è di fronte a me, impallidito e spaventato ma qualcosa
sembra attirare la sua attenzione: la canotta nera che copre il mio corpo fin
su alle ginocchia. Si, è la tua canotta! - vorrei urlargli ma è così incantato
a guardare il mio corpo libero, avvolto dal cotone nero che ogni precisazione
sarebbe irrilevante.
Si avvicina lentamente
quasi ad aspettare un permesso che non è mai stato necessario chiedere ma che
gli concedo: lascio la porta aperta e raggiungo il letto.Timoroso varca
l’entrata della mia camera, guardandosi intorno con aria circospetta , quasi a
volersi assicurare che non ci sia nessuno: - non sono io a dormire con un
estraneo! - vorrei dirgli ma mi guardo allo specchio e non mi vedo: sono
trasparente.
Raggiunge a passi svelti
il letto trascinando l’enorme busta con sè.
Mi guarda senza osare
parlare, a tratti dubito anche che respiri: è fisso su di me, con quegli occhi
a mandarla che sembrano perdersi nei miei. Ma non parla.
Vorrei baciarti, dio solo
sa quanto vorrei baciarti adesso- vorrei urlare ma per evitare che il mio viso
mi tradisca, prendo a guardarmi le cosce nude ed infreddolite.
Apre la busta e poggia la
sua divisa alla sua sinistra e la mia alla sua destra, quasi a volermi
comunicare con gesti quella inevitabile separazione.
Un anno fa avremmo
ammucchiato tutto nell’armadio, tutto insieme: i miei panni sui suoi, i miei
slip tra i suoi: e non c’avremmo nemmeno pensato a fare quello che adesso
sembra un atto necessario: dividere.
Afferra il maglione rosso
con una renna di Natale cucita al centro e seguendo le regole da lui appena
stabilite, lo ripone a sinistra.
Ne comprammo due di quei
maglioni: eravamo a Francoforte, avevo un cappuccino tra le mani e Riccardo mi
stampò un bacio sulle labbra per succhiare i residui di cacao che erano rimasti
appiccicati.
“Voglio comprare
qualcosa” - mi disse, senza aggiungere altro.
Distolsi lo sguardo dal
mio libro lo guardai in volto ed aveva una strana luce.
“Qualcosa in
particolare?” - chiesi incuriosita.
“No. Qualcosa che posso
portarmi dietro, per quando vorrò rivivere questo momento… ” - sussurrò.
“Per qualche motivo in
particolare?” - poggiai l’eleganza del riccio sul banco della tavola calda e
allungai una mano verso di lui che immediatamente afferrò, stringendola
calorosamente
“Sei di fronte a me,
persa nel tuo libro, così concentrata da non esserti accorta di avere del cacao
sulle labbra, così spensierata da non aver paura del domani. Sei aria pura che
mi entra dentro e mi da vita, pensi che abbia bisogno di un altro motivo per
voler comprare qualcosa che mi ricordi di come sono stato qui, adesso, con te
?” disse con aria nostalgica.
E così, decidemmo di
comprare i maglioni rossi esposti nella vetrina del negozio di fronte.
Afferra la mia gonna
color pesca e la poggia a destra: si muove lentamente quasi come se avessimo
tutta la vita a disposizione per segnare la fine tra me e lui.
Estrae la tuta nera e
bianca. Ad un tratto sembra mancare l’aria in quella stanza cupa.
“Ti sta così bene che non
riesco a chiederti di restituirmela…” - sussurrò quando me la vide indosso per
l’ennesima volta. Ma stavolta non pare voler cedere.
La porta su, scrutandola
in ogni suo dettaglio: prenderà un’ascia anche adesso? O la lascerà indossare a
Naomi? Forse la brucerà e basta.
La guarda ancora una
volta e poi prende la sua decisione: Riccardo decide di non decidere.
La ripone al centro, tra
i suoi ed i miei vestiti, a metà tra quello che eravamo e quel che siamo
diventati.
Poi mi guarda, in cerca
di risposte: non è sprezzante, né accogliente, mi guarda come per dirmi: dì una
parola, fa’ un gesto, aiutami!
Lentamente poggio le mani
sulla tuta e continuo a guardarlo e lui mentre lui pende dalle mie labbra, in
quell’attesa quasi dolorosa, per quel che deciderò di fare dei nostri ricordi.
-Io non sono come te, non
distruggo il nostro passato, il nostro vissuto. Io ho ancora tutto qui dentro e
tutto batte prepotentemente, fino a farmi esplodere…- questo, avrei voluto
dirgli ma trovo un modo per comunicarglielo, continuando ad essere trasparente.
Afferro la dannata tuta e la poggio orgogliosamente alla sua destra,
infinitamente grata per quel bottino che il nemico mi ha concesso,
arrendendosi.
Ha gli occhi lucidi e si
morde le labbra, con l’aria di chi è in difficoltà pertanto comincia ad
avvolgere i capi più velocemente e a riporli da una parte o dall’altra.
Tra i tanti abiti,
afferra un cardigan blu che a Riccardo arriva fin sotto al fondoschiena: è
qualcosa di indescrivibile quando lo tiene su. Riesce a delineare perfettamente
i fianchi ed il petto di quel corpo filiforme , le spalle appaiono più grandi,
avvolte da quella robusta lana, e la schiena pare dipinge una collina ricurva
di colore blu.
Sa bene, quanto io vada
matta per quel cardigan, mi guarda insistentemente, oserei dire in modo
provocatorio: non so quali siano le sue intenzioni ma anche se ho scelto di
essere trasparente non accetterei la vista di Naomi distesa sulla calda lana
blu che avvolge il petto del mio uomo… del mio ex uomo.
Prendo a guardarlo con
aria circospetta, in attesa di una risposta che non tarda ad arrivare. Riccardo
poggia il cardigan a sinistra, tra le sue cose, ma mentre lo fa non mi stacca
gli occhi di dosso. Negli istanti successivi ho ripetuto a me stessa, per
almeno tre volte “ Daisy, sei trasparente!” - ma non è bastato. Quindi ho
poggiato le mani su quella calda lana, sfiorando di poco le dita di Riccardo,
il che mi ha provocato una scossa quasi letale allo stomaco: nel mio corpo è
primavera! - ho pensato, e lentamente ho trascinato il cardigan dalla sua metà
alla mia metà.
Dà un cenno d’assenso,
quasi a voler dirmi: Ho capito, è tuo! Non lo dividerai con lei!- ma non sembra
condannarmi per questo, anzi, se non fosse per la notte in bianco e lo stomaco
in subbuglio potrei addirittura dire, con certezza, che la sua bocca ha assunto
una forma simile ad un sorriso abbozzato, rubato, non calcolato.
è fatta! Manca solo la
mia sciarpa e poi uscirà da quella stanza per non tornarci mai più.
Questa volta non mi
guarda, né tentenna, prende la mia sciarpa e con uno scatto agile l’avvolge
intorno ai suoi abiti, dandole quasi la forma di un sacco e con lo sguardo
ancora puntato nel vuoto, va via, socchiudendo la porta alle sue spalle.
Non l’ha voluta negoziare
nemmeno un po’, la mia sciarpa. L’ha presa come se gli spettasse. L’ha presa
come fosse sua. L’ha presa e l’ha portata con sè.
Vengo svegliata da un
rumore assordante e ripetuto, sembra una sirena o qualcosa di simile. Che ore
saranno? Mi guardo intorno stordita e spaesata: Baster è di fronte a me, con una
tazza di cereali tra le mani, si accorge del mio risveglio e impassibile torna
alla sua zuppa.
“Che ore sono?” - domando
con difficoltà.
“Le undici!” - sussurra
il ruminante.
“Che ci fai qui?” -
domando, alzandomi a fatica dal letto.
“Dobbiamo fare quella
cosa.”- mi avverte “Stanotte sei stata indaffarata?” - commenta notando la tuta
di Riccardo che ho indosso.
“Si, è venuto a mettere
il punto finale. Questo”- indico la tuta- “è il premio per non aver opposto
resistenza! Ma chi diavolo è?” - esordisco infastidita, da quel che sembra
essere, forse un antifurto.
“Non saprei… Oggi è
Venerdì!” - mi avverte.
E prima che io possa
aggiungere qualcosa, precisa:
“Giulia ha pensato di
portare Naomi con sé, nella sala animazione!”
Oggi è Venerdì e questo
vuol dire che io e Riccardo dovremmo far la spesa insieme ma non penso sia
questo l’epilogo.
“Chiedo a Jack le chiavi
della sua auto, andrò da sola! Non avrebbe dovuto preoccuparsi Giulia!” -
preciso.
“C’è del caffè giù?” -
domando mentre mi infilo le scarpe.
“Si. Jo ce ne ha messo da
parte un pacco.”
“OK!” - commento
abbandonando la stanza.
“Buongiorno !” - Sorride
Jack, quando mi vede scendere le scale. Alzo una mano in segno di risposta.
“è avanzato del caffè?” -
domando assonnata.
“Si, dovrebbe essere nel
termos …” - esclama e si mette fisso a guardarmi con aria ansiosa, impaziente,
come se dovesse dirmi qualcosa.
“Cos’è questo rumore
assordante?” - domando, per avviare una conversazione, in modo da incentivarlo.
“Ecco! Proprio di questo
ti volevo parlare!” - si mette di fronte a me, incrociando le mani e
poggiandosi al frigo.
“Penso che…” - tentenna
un po’, poi riprende “Penso sia il modo di Riccardo per dirti che ti aspetta in
macchina, per andare a fare la spesa”
“Quindi è il suo
clacson?” commento sconcertata.
Jack annuisce
timidamente.
“Poteva mandare te ad
avvertirmi in maniera meno brutale …” - suggerisco sbalordita.
“Non che non me l’abbia
chiesto…” - precisa sorridente.
“Penso che tu abbia
bisogno di questo!” - urla Baster, lanciando il cardigan di Riccardo dall’alto
delle scale: ovviamente era a conoscenza di tutto, come sempre!
“Bel completo!” -
commenta sarcastico Jack, quando mi infilo il soprabito di quel matto che
continua a starnazzare col suo clacson.
Quando mi vede uscire da
La Quercia, blocca le sue maledette mani lasciando che il silenzio copra quel
fastidiosissimo rumore.
Salgo in macchina facendo
attenzione ad ogni piccolo movimento, mostrando compostezza: quel posto, pare
non essere più mio.
C’è un altro odore, un
altro disordine che non è nostro: solo i ranocchi sono rimasti, lunga storia
quella…
Ma quell’uomo che aveva
così fretta e che da ore torturava il clacson dell’auto sembra essere sparito.
Resta per qualche
manciata di secondi- a mio dire interminabili- fisso su di me, fisso a guardare
il miei abiti o i suoi, dipende dai punti di vista.
Quando finalmente accende
il motore, mi rendo conto di non aver controllato la bacheca: è lì che
scriviamo cosa ci occorre.
Pertanto, per quanto io
voglia essere trasparente, non posso evitare la domanda.
Siamo a due gradi al di
sotto dello zero ma le mani continuano a sudare, deglutisco ripetutamente e
senza rendermene conto, il mio corpo prende a muoversi ritmicamente in modo
impaziente. Quindi prendo un lungo sospiro e mi convinco a sussurrare:
“Abbiamo la lista della
spesa?” - con l’ultimo filo di voce, che si perde tra il volume della radio che
manda in onda Last Christmas- di Wham .
Riccardo non mi guarda,
né osa rispondermi. Apre il cruscotto, sfiorandomi le cosce ma senza prestare
tanta attenzione a quel contatto, ed estrae un foglio bianco che mi consegna
tra le mani.
A quanto pare, il solo
pensiero di rivolgermi la parola gli crea disgusto. Non l’ho mai visto così,
Riccardo è un gran chiacchierone dagli interminabili sorrisi ma in mia presenza
non parla più, non sorride più. Poi, accade qualcosa di inaspettato tanto per
me quanto per lui: mio caro, maledetto amore, per quanto tu voglia, certe
abitudini non si cancellano.
Riccardo spegne il motore
arrivati al parcheggio ed in modo automatico, protraendosi verso di me, mi apre
la portiera dall’interno: un gesto ripetuto per quattro anni, che non è
riuscito a cancellare in soli tre mesi. Imbarazzato e forse anche pentito, di
quell’istinto così umano, si rimette immediatamente composto, scendendo dall’auto.
“Che piacere rivedervi!”
- ad accoglierci all’entrata c’è Franco, il proprietario del supermarket che da
anni ci fa credito nella sua piccola bottega, fino quando Tom a fine mese non
va a saldare il conto
“Franco, che piacere per
me!” - esordisce cordialmente Riccardo: con il suo solito sorriso che quando mi
guarda sembra svanito.
“Daisy”- richiama la mia
attenzione allargando affettuosamente le braccia, poi domanda” Da quanto siete
in città? “- .
“Da ieri “- rispondo.
“Ho una sola certezza
nella vita: Quando vedo voi due è ufficialmente cominciato il Natale!” -
commenta teneramente Franco.
“Oh, Franco! Qualche sera
devi assolutamente cenare da noi!” - lo invita, come se in casa nostra ci fosse
un’atmosfera vivibile!
“Ricky, la prendo come
una promessa!” - sentenza solenne Franco, facendoci spazio e lasciandoci
entrare nel suo mondo di spezie e colori.
Riccardo mi guarda in
cerca di risposte: non riesce a dirmi nemmeno di porgergli la lista.
Rassegnata ed anche
stanca di quel mutismo cronico, spiego il foglio e lo posiziono al centro del
carrello.
Quindi si avvia verso il
reparto della pasta lasciandomi tra la verdura fresca che appare
inevitabilmente più viva di me.
é finita Daisy, puoi
cominciare dormire sogni tranquilli: è finita! - ripeto a me stessa, portando
gli occhi al cielo in segno di rassegnazione.
“Daisy…” - è la voce di
Riccardo.
Per qualche secondo ho
pensato di averlo immaginato. Era la sua voce, la riconoscerei tra mille ma non
può essere vero.
Ma poi, dal reparto della
pasta si sente ancora:
“Daisy…” - corro
affannosamente appoggiandomi al carrello, lasciando che sia lui a spingere me e
non viceversa.
Ma la speranza che si era
appena rinvigorita, si spegne in pochi istanti, quando girando nel corridoio
adiacente al mio, vedo Riccardo in compagnia di Tom, il dirigente del Resort,
in compagnia di sua moglie Tina.
“Daisy…” - mi invita
affettuosamente ad abbracciarlo. “Tutto bene?” - domanda .
Annuisco con un sorriso
genuino, meritandomi quasi un premio per la migliore interpretazione di attrice
non protagonista.
“Sicuro, Riccardo? La
vedo così smagrita!” - commenta apprensiva Tina.
“Oh! è tutto ok!” -
sussurra a stento.
“Ne sei certo?” - ribatte
Tom, notando il suo imbarazzo.
E così Riccardo,
alimentando la sua vigliaccheria, mette su un carico da novanta, per evitare
altre domande, per evitare di pronunciare due semplici parole:” è finita!”
“La conoscete Daisy
quando si mette in testa strane idee…Pensava di dover dimagrire, nessuna mia
protesta è stata abbastanza convincente…” - commenta sorridente. Quasi ci casco
anche io in quella commedia inscenata da un uomo che ormai non riconosco più.
“Daisy so che è difficile
da credere ma a volte gli uomini hanno ragione!” - commenta sarcastica Tina,
accarezzandomi debolmente la spalla.
“Ragazza, ho trovato la
soluzione!” - esordisce Tom a mo’ di ammonimento “Verrete entrambi a pranzo a
casa mia, domani. Vedrai che ti tornerà la voglia di mangiare…” sorride.
“Io non so… in realtà
Riccardo…” - prendo a balbettare in cerca dello sguardo di Riccardo che mi dia
risposte.
“Ci saremo!” - commenta
questo, abbozzando un sorriso teso ed irritato.
Con sconcerto e sgomento
lo guardo, sperando che abbia una giustificazione all’ennesimo disastro che sta
scaturendo pur di non dire -“è finita!”
“A domani allora, e
salutatemi gli altri!”- commenta Tom, accompagnando Tina verso l’uscita.
Restiamo per qualche
secondo a fissare il vuoto entrambi, forse per pensare a cosa è appena
accaduto, a quello che abbiamo appena fatto e alle conseguenze che questo
porterà: mentire Tom, prenderci gioco di lui.
Riccardo fa un lungo
respiro e prende a strusciare la mano intorno al bracciolo del carrello: è come
se il suo corpo fosse attraversato da una scarica di adrenalina.
Resta in silenzio per il
tempo restante ed anche sulla strada del ritorno, il suo sguardo è perso nel
vuoto, senza mai perdersi nei miei occhi.
Al ritorno non mi apre la
portiera: non sono bastati tre mesi a scordarla quell’accortezza ma in mezz’ora
ha già scordato tutto.
“Daisy, dove sono Baster
e Sergio?” - domanda Jack, frapponendosi tra me ed il camino.
“Sergio ha rimediato un
appuntamento con due nuove cameriere del Resort! Sono usciti poco fa…” -
commento, ritornando al mio libro.
“Diavolo!” - commenta
furioso Jack.
“Non hanno preso la tua
macchina, si sono spostati a piedi!” - preciso.
“No, non è per la
macchina…” - sussurra ma resta ancora lì impalato aspettando che io gli presti
la mia attenzione.
Così, richiudo il mio
libro e prendo a guardarlo.
“Naomi vuole andare alla
fiera natalizia e Ricky mi ha chiesto di accompagnarlo. Non sapevamo di Baster
e Sergio ma adesso vado a dirglielo, resteremo …”
“Jack” - lo interrompo cn
tono perentorio, prima che lui possa terminare la frase. Sento dei passi alle
mie spalle e dallo specchio che ho di fronte intravedo la sagoma di Riccardo.
Daisy sta prendendo
colore, Daisy sta per scordarsi di essere trasparente.
Daisy fa un lungo sospiro
e sbotta:
“Sono stata mollata, non
sono malata. Non mi dovete fare da babysitter e capisco quanto amore ci sia
dietro questi gesti e ti ringrazio, ma non mi aiuti, mi fai solo sentire più
sfigata. Quindi mettiti in quella macchina, senza protestare e va a quei
dannati mercatini come hai fatto tutti gli anni: il tuo amico è sempre lo
stesso! Ha cambiato solo fidanzata!” - sorrido senza riuscire a controllare la
mia rabbia mista ad isterismo che sento dentro.
“Jack …” - subdolamente
l’amico richiama la sua attenzione, invitandolo ad uscire in giardino.
Parlottano per un po’
senza che io riesca davvero a capire cosa si stiano dicendo.
Dalle scale risuona lo
scricchiolio dei tacchi che prepotentemente aderiscono al parquet.
Non ho bisogno di
voltarmi per capire chi sia: solo una che non è mai stata ai mercatini di
Natale, potrebbe indossare dei tacchi per andarci.
Non augurerei a nessuno
di fare quella salita così ripida con dei tacchi, a nessuno che non sia Naomi.
“Buona serata…” - mi
augura con fare provocatorio.
“A te…” - sorrido di vero
gusto, guardando i dodici centimetri che ha messo su per la serata.
“Ma se rimandassimo?” -
chiede Riccardo ancora alla porta.
“Ma chissà quando avrai
di nuovo una serata libera… Dai, per favore!” - lo implora lei.
Riccardo fa un lungo
sospiro e prende a guardare il cielo, magari sperando in una improvvisa
tempesta che metta fine a discussioni.
“Che problema hai?” -
domanda Naomi che deve aver capito perchè il tono è alquanto stizzito.
“Giulia…” - sbraita
Riccardo, invitandola a velocizzare i tempi, evitando così, di rispondere.
E come previsto, con le
sue comode e basse Nike, Giulia si precipita dalle scale raggiungendo in un
batter d’occhio il gruppo.
“Daisy…” - in casa
restiamo solo io e Jack.
“No, non ho bisogno di
nulla! “ - lo rassicuro.
Poggia le chiavi della
sua auto sul tavolino dinanzi a me e dolcemente sussurra:
“é tutta tua…” abbozzando
un occhiolino.
“Non devi, davvero!” -
sorrido.
Ma non è in vena di
accogliere obiezioni, infatti si avvia all’uscita richiudendo la porta alle sue
spalle.
Mi guardo intorno, sento
il motore partire e un brivido riaffiora all’altezza della gola: è la prima
volta che resto da sola a La Quercia.
“Tira un lungo sospiro,
Daisy-“ - rimprovero a me stessa.
La tentazione di raggiungere
la nostra ex camera è troppo forte ma la consapevolezza che entrata in quella
stanza non risponderei più delle mie azioni e magari incendierei l’intera
Quercia, mi trattiene dal farlo. Pertanto mi affretto a cercare un calice ed
una bottiglia di vino che mi facciano compagnia in quella lettura.
Lo strano caso del dottor
Jekyll e del signor Hyde, è questa il libro che ho scelto. Riccardo lo adora.
Ho ancora tutto impresso nella mia mente, quando nelle notti afose d’estate,
prendeva a leggermi alcuni capitoli accarezzandomi i capelli e cullandomi tra
le sue braccia. Amava la parte finale, quando finalmente il mistero del Dottor
Jekyll e Mr Hyde viene risolto.
E perchè, Riccardo, non
aiuti a risolvere il mio di mistero?
Non meritavo nemmeno una
frase scontata quanto tagliente come un “non ti amo più!”?
Pensi che in questo modo
mi abbia risparmiato il dolore? Ed invece no, è come se tu fossi scomparso ed
il tuo corpo mai ritrovato ed io trascorressi le giornate intere a fissare la
porta d’entrata aspettando che da un momento all’altro tornerai da me.
Ma tu non ritornerai,
perchè sei morto ma io non l’accetto, perchè non so dove sei.
Dammi un corpo su cui
piangere, Riccardo.
Dimmi che Daisy e
Riccardo sono morti ed io mi alzerò da quella sedia e riprenderò a vivere.
Al terzo bicchiere di
vino, mi libero del libro: ho gli occhi troppo stanchi per poter leggere
ancora.
Pertanto mi guardo
intorno e prendo ad ammirare la la maledetta chitarra che pare chiamarmi.
Non devo alzarmi nemmeno
dal divano per riuscire ad afferrarla.
Non che sia capace di
suonarla: le poche nozioni che conosco, me le ha insegnate Riccardo.
“Daisy, le dita devono
essere più aperte…” - mi rimproverava, dolcemente.
Cerco gli accordi di Dead
Sea - The Luminers, che sembra ormai essere la colonna sonora di una fine ma
non di un nuovo inizio.
“Oh, I need somebody,
needed someone I could trust
I don't gamble, but if I
did I would bet on us” -
Non suono con la stessa
scioltezza ed abilità di Riccardo ma suonare la sua chitarra mi fa sentire più
vicina a lui.
“Like Dead Sea..”- canto
con difficoltà, con la voce rotta da un singhiozzo che apre la strada ad un
pianto ininterrotto e disperato.
Come sei arrivata a
questo, Daisy? - domando tra me e me.
E tra un acuto stridulo
ed una lacrima cristallina, accade quello che non dovrebbe mai accadere ad una
ragazza ubriaca, disperata, piangente.
La porta viene aperta
prepotentemente, un corpo, una sagoma, un uomo: Riccardo. è da solo.
Riasciugo il viso
affannosamente, lasciando che quel cardigan blu, righi le mie umide gote.
“Sc… scusami…” -
borbotto, tirandomi su e posando la chitarra accanto al divano.
Resta per un po’ a
guardarmi ma nonostante i suoi sforzi non riesce a chiedermi nulla, così si
avvia alle scale.
Avrà scordato qualcosa-
penso guardando dallo specchio, il suo corpo allontanarsi. Non sento più i suoi
passi ma non oso voltarmi.
So che è ancora dietro di
me ma resto immobile.
Girarmi a cercarlo mi
renderebbe solo più ridicola di quanto io non abbia già fatto.
Pertanto, mi verso un
altro bicchiere di vino accendendomi una sigaretta nel più assoluto silenzio…
silenzio che viene interrotto dal mio cellulare che prende a squillare: è Jack.
“Daisy, tutto bene?” - mi
chiede
“Si…” - lo rassicuro.
“Sei a casa?” - domanda
ancora.
“Si…” - confermo.
“Puoi venirci a prendere?
Riccardo è stato chiamato da Tom per una cosa urgente e ci ha lasciati qui. Ma
sta cominciando a piovere…e Naomi si lamenta per il dolore al piede” - spiega
con cautela.
Cerco di mascherare una
ventata di speranza e sollievo che invade il mio corpo e tenendo un tono
composto, preciso:
“Veramente è qui…”
“Ma chi? Riccardo?”-
domanda esterrefatto.
“Si..” - sussurro.
“Ne sei sicura? è entrato
in casa? Perchè a me ha detto che l’ha chiamato Tom ed era urgente…”- spiega
incredulo.
“Sicurissima…” - borbotto
“Che figlio di puttana…”
- stacca la chiamata senza aggiungere altro.
Dopo qualche secondo
prende a squillare il cellulare di Riccardo: avevo capito bene, era alle mie
spalle.
“Jack…” - risponde
sorridendo.
“Wow… Mi hai scoperto…” -
si prende gioco di lui .
“Sta calmo! Mi sto
mettendo in macchina!” - lo rassicura.
Sento i suoi passi sempre
più vicini, arriva all’altezza del divano e si ferma per qualche istante.
Mi guarda, afferra la
chitarra e la poggia accanto ai miei piedi.
“è il La Minore che
sbagli…” dice, prima di avviarsi all’uscita e richiudere la porta alle sue
spalle.
“é il La Minore che
sbagli…” - è stata la prima frase che Riccardo ha scelto di dirmi, dopo quattro
mesi.“non è niente” -
penserete voi.
Per me è tutto.
Voglio una vita in La
minore.
Nina Solamente
(Proprietà letteraria riservata ©Copyright Nina Solamente)
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