Eccoci ancora qui Coccolosi
belli con un nuovo capitolo di questa disarmante storia d’amore.
Ormai Riccardo e Daisy ci
sono entrati sotto pelle e tutti vogliamo sapere dove li condurrà il loro
amore così tormentato.
Non aggiungo altro, vi
lascio godere della loro storia e dei loro amici e ancora una volta vi saluto
come farebbe Nina Solamente….BUONA LETTURA ANIME…
CAPITOLO 4
“Baster… Vai al diavolo!”
– borbotto assonnata protestando per quel continuo sgranocchiare.
“Buongiorno anche a te!”
– risponde noncurante ritornando all.a sua tazza di cereali.
“Ma perché devi fare
colazione in camera mia?” – domando irritata, con il viso coperto dal cuscino,
con la vana speranza di annullare quel continuo rosicchiare.
“Perché poi, non ho il
problema di ripulire le briciole… è così ovvio!” – commenta quasi criticando la
mia poca perspicacia.
“Mi chiedo come mai non
ti abbia ancora chiamato la Croce Rossa, dato il tuo immenso altruismo…” –
sospiro rassegnandomi all’idea che un ruminante menefreghista venga a
svegliarmi tutte le mattine.
“Se continuano di questo
passo, nemmeno la Croce Rossa basterà al piano di sotto!” – commenta lui,
digrignando i denti.
“Che succede giù?” – e se
potessi guardarmi allo specchio senza dubbio vedrei un viso preoccupato,
sbianchito, teso.
Baster si stende al mio
posto e prende a giocherellare con un bracciale, in attesa di un mio sguardo
pietoso, una mia preghiera disperata.
“Ok! Lasciami pure
sbranare dal branco!” – disapprovo il suo silenzio, avviandomi alla porta:
soglia che non varcherò senza sapere cosa mi aspetta.
“Qualcuna… “- dice
prontamente, evitando che diventi una vittima sacrificale, “potrebbe non aver
digerito la notizia del tuo pranzo da Tom… in compagnia…”
“C’era da aspettarselo!”
– commento, sprofondando nella poltrona di fronte a lui.
“Potrebbe averti anche
apostrofata in un modo… come dire? Poco gentile…” – continua a passare il
bracciale da una mano all’altra, fingendosi indaffarato.
“Ed immagino che nessuno
sia intervenuto…” – commento con aria remissiva, socchiudendo gli occhi ed
affondando il viso tra le mani, per bloccare qualsiasi residuo di lacrima che
ancora aleggia nel mio corpo.
“Io non di certo… sono
suo amico. Erano questi i piani!” – commenta sarcastico, poi, forse per la mia
poca partecipazione al gioco, aggiunge:
“Forse ho sentito
qualcuno dire -Non ci provare, non aggiungere altro- quando stava per
insultarti!” – strizza gli occhi con aria vittoriosa.
“Baster, forse c’eravamo
fatti strane idee su questo soggiorno qui, forse devo solo arrendermi all’idea
che Riccardo non mi ama più. Mi vuole bene, quello è certo ma… “ – penso a
qualcosa di meno penoso da dire, qualcosa che non mi distrugga.
“Quando hai finito di
dire puttanate, ti aspetto al piano di sotto!” – commenta irato, lasciando i
residui della colazione sul tavolo da camera. Se c’è una cosa che Baster non
tollera è la mia resa. Non ama particolarmente Riccardo ma crede in noi, come
dargli torto? Lui ha visto quegli sguardi, quei baci, quel cercarsi: Baster ci
ha guardati ed è per questo che non si arrende.
Tiro un lungo sospiro,
velocemente mi avvio al ballatoio raggiungendo Baster, non voglio percorrere da
sola la scala, ricordate, no? Devo essere trasparente.
“Vieni qui…” – Jack mi
attende alla fine delle scale con le braccia aperte – segno che Naomi non deve
essere stata tanto gentile nell’apostrofarmi e magari è il suo modo per
chiedermi scusa, per non avermi difesa, per non essere intervenuto.
“Buongiorno…” – sussurro
con un tono così basso da non destare attenzione.
“Ciao!” – risponde Naomi
con un sorrisetto isterico, quasi beffeggiandomi.
“Ti consiglierei di non
fare colazione… “ – commenta lei, ho già capito il suo scopo pertanto, riempio
la tazza di latte fresco e proseguo come se non avesse detto nulla.
“Perché?” – domanda
Baster che non riesce a mettere a freno la sua linguaccia per nulla al mondo,
pur di vivere nel caos.
“Perché se si ingozza
adesso non mangerà a pranzo e se non mangerà la inviteranno anche domani e
dopodomani, pur di non vederla smagrita. A meno che Daisy non voglia proprio
questo…” – sorride attendendo una mia risposta.
La differenza tra Naomi
ed il resto del gruppo è che lei è la sola ad avermi conosciuto trasparente,
tutti gli altri conoscono la Daisy dai colori stampati addosso e dalle emozioni
in corsa a centotrenta orari. Tutti temono una mia reazione, me ne accorgo dai
loro gesti: Jack fa qualche passo verso di me, sbarrandomi la strada, Giulia,
con gli occhi terrorizzati prende a mordersi il labbro e quasi mi implora di
stare ferma, Baster, che forse mi conosce più di tutti, fa sparire il coltello
per la marmellata dal banco della colazione.
E poi c’è Riccardo,
Riccardo che mi osserva dispiaciuto, imbarazzato, quasi vergognato per aver
permesso ad una donna, - un’estranea dopotutto – di parlarmi così.
“Che bassezza…” –
dissente disgustato verso la sua donna.
“Ho il diritto di
parlarne con lei o le arreco troppo dolore, anche così?” – domanda Naomi
rincarando la dose.
Baster riappoggia il
coltello sul banco: deduco di aver appena ricevuto la sua benedizione per un
potenziale omicidio. Ma continuo ad essere trasparente, non per me, per Naomi:
le riesce benissimo rendersi ridicola da sola, senza aver bisogno di un mio
aiuto.
“Hai così tanti diritti
che ti lasciamo blaterare…” – commenta stufo ed irritato Riccardo. Dio solo sa
quanta rabbia stia provando in questo momento me ne accorgo dal collo teso e la
bocca serrata.
“Il fatto che Tom sia il
tuo superiore non vuol dire che debba decidere della tua vita sentimentale…” –
frigna Naomi, accennando un principio di pianto.
“Non sono d’accordo! Tu,
per esempio, stai dimostrando di avere tre anni ma non per questo ti accompagno
all’asilo…” la zittisce e poi le sgancia il colpo di grazia “La scelta più
logica a volte non è quella più appropriata” – fa su con le spalle e riprende
la sua catalogazione di vini nella credenza.
Affondo lo sguardo tra i
cereali immersi nel latte e come loro, anche io mi sento sprofondare, anche io
vorrei annegare e frantumarmi per essere inghiottita e risucchiata.
Naomi si avvicina a
Riccardo e gli sussurra qualcosa all’orecchio, lo guarda con gli occhi gonfi e
lucidi afferrando il suo viso, mi volto di scatto, non voglio, non posso, non
riesco a guardare: se solo vedessi un loro bacio, non basterebbe l’acqua del lago,
per spegnere la mia anima in fiamme.
Raggiungo il giardino, in
cerca di un posto tranquillo dove poter dare sfogo alla rabbia, alla
disperazione, a tutto quello che sento e provo adesso.
“Daisy…” La voce di Jack
risuona alle mie spalle.
“Ehi...” – sussurro,
senza voltarmi.
“Stai dimostrando una
forza che nessuno di noi avrebbe nella tua stessa situazione, nessuno!”-
sottolinea, accarezzandomi le spalle, poi riprende “Ma devi pur sfogarti con
qualcuno, non puoi morire dentro…” – sussurra dispiaciuto, chinando il capo sui
miei capelli.
“Sono morta quattro mesi
fa, Jack. Quello che vedi adesso è solo il mio funerale…” – ammetto, ispirando
lungamente.
“Dimmi di cosa hai
bisogno, qualsiasi cosa…” – propone affettuoso.
“Qualsiasi?” – domando
continuando a fissare il vuoto.
“Si…” – sussurra Jack,
ormai convinto di voler abbandonare la difesa di Riccardo per sedersi tra gli
spalti della pubblica accusa.
“Chiama Tom e digli che
ho la febbre!” – dico tutto d’un fiato.
“Ne sei sicura?” – chiede
apprensivo.
“Assolutamente…” –
sentenzio convinta, tentando ancora una volta, invano, di bloccare il tremore
alla mano.
“Ok…” – mi rassicura,
estraendo il cellulare dalla tasca.
“Jack… Posa quel
cellulare!” – La voce di Riccardo piomba inaspettatamente alle nostre spalle.
Entrambi ci voltiamo
spaventati e sorpresi ed immagino che entrambi ci staremo chiedendo da quanto
tempo fosse lì ad ascoltarci.
“Ricky, non può andare
avanti così!” – annuncia Jack, contrariato.
“Questo è chiaro”-
commenta, sfilandosi la sigaretta da bocca.
“Ed hai almeno una
soluzione?” – domanda Jack, incrociando le mani al petto.
“Sicuramente non quella
che proponi tu …” – si avvicina all’amico e poggiando una mano sulla sua spalla
conclude “Jack, posa il cellulare, per favore…” lo prega dolcemente.
Jack lascia scivolare il
cellulare nella tasca e facendo un cenno del capo, invita Riccardo a seguirlo
al lago.
“Giulia, non mettermene
troppo, mi bruceranno gli occhi!” – commento, indicando i tre mascara che ha
appena sfilato da un borsello di pezza.
“Devi essere impeccabile:
la strega deve guardarti e soffrire lentamente!” – sussurra minacciosa,
appiccicandomi il pennello alle ciglia: sembra quasi più agguerrita di Baster.
“Ho deciso…” esordisco
dopo l’ultima pennellata, rifugiandomi in bagno.
“Lo so, metti quello a
fiori!” – suggerisce Giulia, dalla mia stanza, riferendosi al vestito.
“Non hai capito. Ho
deciso che me ne tiro fuori. E sai che ti dico?” – continuo a dar spazio al mio
flusso di coscienza, sento i passi di Giulia raggiungermi e proseguo: ”Se becco
qualcuno di interessante, non ci penserò più di tanto, non starò lì a
torturarmi invano. Non resterò giorni a chiedermi: E Riccardo? E la nostra
storia? No… Io non resto a guardare, Giulia! Mi butto nella mischia. Sia
chiaro… non sono stupida quanto lui, non vado ad ingarbugliarmi in una storia:
non appena uscita da una relazione, almeno. Per adesso mi sta bene una birra e
del sesso. Del buon sesso senza tante chiacchiere, senza troppe promesse. Mi
tiri su la zip?” – mi dimeno con difficoltà a cercare la scarpa che ho lasciato
chissà dove e ad infilare l’unica superstite.
Mi tiro su per guardarmi
un’ultima volta allo specchio e se la vista non mi inganna, la persona dietro
di me: non è Giulia. Se la memoria non mi inganna, ho appena confessato
all’uomo riflesso nello specchio che sono in cerca di sesso facile: quell’uomo
è Riccardo.
“Er… Ero venuto a
chiamarti!” – deglutisce amaramente.
“Scusami…Pensavo
rimanessi in macchina a starnazzare col clacson, non… io non ti aspettavo.” –
commento mortificata.
“Mi avvio!” – sussurra
imbarazzato, prima di lasciarmi inebedita dinanzi allo specchio. Mi volto
ancora una volta e non per un’ultima occhiata ma solo per il gusto di poter
guardare la mia zip tirata su, dalle sue mani, dal mio uomo.
Scendo le scale velocemente,
senza dar conto a Naomi che è sulla porta principale, quasi a volermi sfidare
un’ultima volta. Quasi a voler cercare a tutti i costi quel conflitto in un
duello che ha già vinto in partenza.
Vorrei tanto dirle che
l’amore non è una gara e Riccardo non è un trofeo, vorrei dirle che l’amore non
è un traguardo ma la linea di partenza, vorrei dirle che dormigli accanto non
vuol dire amarlo se poi in quegli occhi non sai perderti… ed io, negli occhi di
Riccardo, mi ci perdo ancora.
Riccardo è più nervoso del
solito. Non parla e si tortura tirando la barba continuamente: segno che è
perso tra i suoi pensieri, pensieri nei quali non oso entrare.
Si ferma a qualche metro
dalla bottega di Franco, afferra il giaccone e senza avvertirmi scende
dall’auto, lasciando il motore acceso.
Suppongo che nel
linguaggio umano, questo voglia dire:
“Ci metto solo cinque
minuti, aspetta in auto!”
Sfilo e reinserisco la
pen-drive dallo stereo, dò un’occhiata veloce alle cartelle e quello che cerco
c’è ancora: Daisy. Creò una cartella di musica esclusivamente per me, inserì
tutte le canzoni che gli facessero ricordare me o che mi avesse dedicato in
qualche occasione.
Il primo titolo non lo
conosco, non c’era questa canzone nella mia cartella, non fino a quattro mesi
fa, almeno.
Scrivo velocemente sul
cellulare I can't go on without you dei Kaleo per ricercare il testo di quella
canzone che no, non mi ha mai dedicato e che non ho mai ascoltato prima di
adesso. La base parte con dei fischi che fanno eco, quasi come si perdessero in
un bosco e mi sento trascinata immediatamente in una foresta, in un luogo cupo,
triste, mi sento in un’altra dimensione a metà tra il reale ed il fantastico,
tra l’astratto ed il concreto, a metà tra l’eterno ed il mortale .
Il testo mi invade come
una doccia fredda nel bel mezzo del Sahara: inaspettata, gratificante ma
spaventosa. È qualcosa che risuona più o meno così:
“Loro pensavano di essere
fatti l'uno per l'altra
senza pensare per un
secondo
che lei si sarebbe persa
in una attrazione diversa
si ho tenuto tutto
dentro, tutti pensieri che attraversavano la mia mente
io faccio tutte le cose
di cui mi pento e quindi cos’è rimasto oltre ad un uomo distrutto? Niente
ferisce più di una donna, ed io non posso andare avanti senza di te, ragazza.”
Un’attrazione diversa…
chiudo gli occhi e ripercorro tutte le mie conoscenze, i miei colleghi, i miei
ex : non mi viene in mente una maledetta tentazione, un messaggio, una chiamata
che possa aver destato turbamenti. A meno che il protagonista non sia lui….e
quindi, Riccardo, hai inserito anche la canzone che per te segna “la fine” di
quel che non tornerà più. Il mio flusso di pensieri viene interrotto dalla
sagoma di Riccardo che dal supermercato si avvia al parcheggio, cambio
prontamente canzone, e fingo di giocherellare con i fili di lana della mai
sciarpa.
Riccardo ripone quel che
sembra essere una bottiglia di vino, sul sediolino posteriore e senza
guardarmi, raggiunge il posto del guidatore, porgendomi un pacchetto avvolto in
un pezzo di carta di paglia, quella che si usa per i fritti.
“Mi sembra di aver capito
che ne avrai bisogno!” – sentenzia con tono severo e tremolante, prendendo a
guidare malamente.
Durex. Riccardo mi ha
comprato dei preservativi. E me li ha regalati quasi con disprezzo, come se io,
a differenza sua non potessi avere un uomo, come se io dovessi stare in eterno
a guardarlo dalla mia camera e magari applaudirlo mentre raggiunge una donna
che non sono io, per baciarla, sentirne l’odore, leccarne la pelle.
Giro e rigiro il
pacchetto di contraccettivi tra le mani, prendo fiato e ripeto a me stessa di
esser trasparente ma mai perdonerei un mio silenzio, non ora.
“Siete una bella coppia,
viaggiate sulla stessa lunghezza d’onda: massacrare Daisy…mi sembra un bel
progetto di vita!” – sentenzio amareggiata.
Riccardo prende a
guardare la strada evitando ogni contatto visivo con me, imbocca il viale che
porta alla casa di Tom e quando scala la marcia, pronto per fermarsi sussurra
un impercettibile:
“Sc…scusami…”
“Per questo?” – domando
issando il dono appena ricevuto.
“No!” – afferma
convintamente, poi aggiunge “Per stamattina…non avrei dovuto permetterlo!”-
scende dall’auto, impedendomi di rispondere.
Tom è in giardino ad
attenderci sotto il porticato:
“Finalmente…” – ci corre
incontro abbracciandoci.
“Dov’è Tina?” – domando,
stampandogli un bacio sulle gote.
“Ci aspetta dentro!” poi
aggiunge, scartando la bottiglia di vino “Non dovevate…anzi si, perché questo è
il mio vino preferito!” sorride abbracciandoci.
“Stamattina, Riccardo era
in vena di regali!” – sussurro, mostrando un falso sorriso che nasconde la mia
irritazione.
“Allora, meglio per noi!”
– si congratula Tom, non cogliendo la mia ironia.
“Daisy…” – Tina mi
accoglie in casa con la solita dose di dolcezza, che a tratti mi fa scordare il
turbolento risveglio.
“Propongo di fare un
brindisi!” – esordisce Tom.
Quindi afferra quattro
calici e versa del prosecco fresco, si accerta che ognuno abbia da bere ed
innalzando il bicchiere esclama:
“Brindo agli anni che
passano e a noi che siamo sempre qua, sempre gli stessi!” – Riccardo mi guarda
di scatto, in attesa del mio sorrisino ironico che non attendo a mostrare.
Sempre qua, sempre gli stessi. Ma con nuove storie, nuovi amori, cuori slegati
e riformati- penso tra me e me, mentre lascio schioccare il mio bicchiere con
quello di Riccardo.
“Siamo pronti per
mangiare!” – Tina avverte la cuoca in cucina per poi raggiungerci a tavola.
Riccardo ha preso
seriamente la sua passione per la recitazione, tant’è che si siede accanto a
me, colorando il quadretto della coppia felice.
“Cosa ci raccontate? Che
avete fatto quest’estate?” – domanda Tom, riempendo l’ennesimo calice ma di
vino, stavolta.
Eh… sono stata mollata!-
Vorrei rispondere ma l’uomo che mi ha mollata, temendo una mia reazione di
affretta a dire:
“Solite cose… siamo stati
in montagna, al mare, ai concerti: quello che facciamo di solito!” – sorride,
guardandomi in cerca di complicità, complicità che non riceve: preferisco
buttar giù in un solo sorso quel vino rosso anziché stare ad ascoltare la marea
di stronzate che è in grado di dire.
“E noi che come ogni
anno, speravamo in grandi novità!” – borbotta Tina amareggiata.
“Non puoi chiedere ad
ogni coppia di giovani di sfornare un figlio, solo perchè hai voglia di esser
nonna!” – la rimprovera Tom.
Emetto uno stridulo
incontrollato, non posso fare a meno di trattenermi, in una situazione tanto
paradossale quanto insopportabile.
Un figlio… Io e Riccardo,
con Naomi che fa da madrina, magari!
“È così assurdo?” –
domanda Tina, non cogliendo il mio stato d’animo.
“D’altronde, state
insieme da tanti anni, avete un lavoro ed un posto in cui vivere, perché
dovrebbe essere tanto strano?” – esorta, innocente.
“Vuoi davvero sapere
perché ho sorriso?” – chiedo, afferrando il bicchiere di Riccardo ancora pieno
per buttarlo giù in un solo sorso, sperando che sia un Brunello di Montalcino a
scegliere le parole adatte per l’occasione.
“Certo!” – domanda
curiosa Tina, che non deve proprio aver percezione della mia imminente rivelazione,
altrimenti non avrebbe quel sorriso docile stampato sul volto ingenuo.
“C’eravamo quasi vicini!”
– esordisce Riccardo affannosamente, afferrando la mia mano e prendendo ad
accarezzarla. “Qualche mese fa, abbiamo creduto di diventare genitori ma ci
sbagliavamo…”- commenta quasi commosso, una presunta gravidanza mai avvenuta.
“Datevi da fare!”- Tom
riempie nuovamente i calici ed aggiunge, “Con la promessa che l’anno prossimo
saremo in cinque a questo tavolo!”
“Una bella femminuccia!”
– esulta Tina, brindando.
“Di nome Naomi, magari!”
– rispondo con la stessa enfasi, fingendo adrenalina.
“No, ragazza mia! Non mi
piace come nome!” – commenta riluttante.
“Riccardo ne va matto!” –
lo guardo graziosamente e prendo ad accarezzargli la mano, imitando le sue
movenze.
Mi guarda sottocchio,
innervosito: forse, davvero si era illuso che gli tenessi il gioco senza remora
alcuna, ed invece, mio caro Riccardo, per ogni volta che negherai ciò che hai
fatto, farò di tutto per portarlo alla memoria.
“Ti prometto che lo
sceglieremo insieme!” – risponde delicatamente, tranquillizzando Tina .
“Tuo padre come sta?” –
domanda Tom, porgendo una teglia di patate in direzione di Riccardo.
“Bene… sente un po’ la
mancanza di Daisy, ma se la cava…”
Il cucchiaio mi scivola
dalle mani, provocando uno stridio quando struscia contro il piatto. L’ho
chiamato per tutto il mese di Settembre accertandomi delle sue condizioni e del
suo umore: la madre di Riccardo ci ha lasciati qualche anno fa e da allora,
l’abbiamo convinto- quasi costretto- a viaggiare con noi, a partecipare alle
cene e alle feste, l’abbiamo pregato ed implorato di non abbandonarsi a sé
stesso, di non evitarci, perché aveva noi e noi ci saremmo sempre stati. Poi un
giorno… ho cominciato a non chiamarlo più e a tagliar corto quando a cercarmi
era lui: la verità è che non sapevo più trovar scuse per giustificare la mia
assenza da quella casa ed ogni volta che provavo ad invitarlo fuori, mi
rassicurava che al ritorno di Riccardo mi avrebbe raggiunta. Immagino che deve
aver capito da solo cosa sia successo, perché non mi ha chiamata più, non mi ha
cercata più o forse, semplicemente ha trovato un’altra ragazza col quale
giocare a scarabeo e vedere un film il mercoledì sera, quando Riccardo è in
riunione di lavoro sino a tardi.
“Daisy, va’ a trovarlo
più spesso!” – mi rimprovera Tom.
“Non è colpa sua… ha
avuto tanto da lavorare!” – ritratta prontamente Ricky che di certo non voleva
accusarmi ma era il suo unico modo per farmelo sapere.
Tom continua a riempire i
bicchieri e sia io che Riccardo li mandiamo giù con la stessa facilità
dell’acqua fresca: forse convinti, che per un pranzo del genere, non eravamo
ancora pronti. O forse abbiamo appena realizzato che per questo pranzo, non lo
saremo mai. Raccontare di una quotidianità che non abbiamo, inscenare una
relazione che non esiste, fingere di stare insieme ed usare la presenza di Tom
e Tina per filtrare notizie che non saremmo in grado di dirci guardandoci negli
occhi.
“Che ne dite di fare una
pausa e rilassarci in giardino?” – domanda Tina, alzandosi con difficoltà dalla
sedia, anche lei vittima del marito che continua ad aprire bottiglie di vino
come se non ci fosse un domani.
“Certo!” – esclama
Riccardo, prendendola sotto al braccio.
“Oh no, avviatevi fuori:
io vado a cambiarmi le scarpe..” – biascica con aria abbattuta, abbattuta dalle
quattro o forse cinque bottiglie di vino che Tom ha lasciato scorrere in ognuno
dei nostri bicchieri.
Riccardo si avvia
all’uscita e tiene aperta la porta, in attesa che lo preceda.
“Se c’è una cosa che non
ti perdonerò mai, è l’avermi separata da tuo padre…”- commento disgustata,
accendendomi una sigaretta.
“Gli farebbe sicuramente
piacere vederti fumare!” – commenta sarcastico.
“Gli farebbe piacere
vedermi. E tu non gliel’hai permesso!” – sbotto.
“Non hai bisogno del mio
permesso per entrare in casa mia!” ribatte, prima di voltarsi e sorridere,
avvertendomi della presenza di Tom alle mie spalle.
“Riccardo, fa’ funzionare
questo aggeggio!” – commenta il capo, porgendogli uno stereo di ultima
generazione.
“Daisy…” si rivolge verso
di me “Stavo pensando che quest’anno potresti tenere qualche lezione di ballo.
L’anno scorso è stato un successone!” – propone Tom.
Resto per qualche istante
impalata, cercando una scusa valida per rifiutare: non vorrei risvegliarmi
anche domani, con una strega dal dente avvelenato, poi mi ricordo che Riccardo
non è l’unico ad avere familiarità con i balli di coppia e pertanto rispondo:
“Si, chiederò a Jack di
aiutarmi: sarà di sicuro meno indaffarato di Ricky!” – mettendo in chiaro le
mie intenzioni.
Riccardo stacca di scatto
lo sguardo dallo stereo, mi guarda accigliato, forse contrariato:
“Cercherò di esserci…” –
insiste, poi abbandona la postazione lasciando che Tom scelga le canzoni da
ascoltare.
“Almeno avanti ai tuoi
ragazzi, invitami a ballare!” – Tina prega Tom, quasi rassegnata , accennando
leggeri movimenti di twist sulle note di Elvis Presley.
“E noi due saremmo in
grado di ballare il twist, dopo aver mangiato e bevuto così tanto?” – sogghigna
il marito a mo’ di sfotto.
“Riccardo, facciamo a
vedere a quest’uomo di cosa sono capace!” – risponde a tono Tina, con aria di
sfida.
Ed elegantemente Riccardo
fa un inchino porgendole la mano ed invitandola a ballare.
Sarebbe riduttivo
finanche parlare di quintessenza di bellezza o di settima meraviglia del mondo,
sarebbe tutto effimero dinanzi a quei capelli raccolti e a quegli occhi lucidi
e pieni per il troppo alcool, la bocca socchiusa che regge il sigaro con
difficoltà e quel corpo armonioso e danzante che sembra quasi aver scordato le
tensioni e i problemi degli ultimi giorni. Sfila il sigaro dalla bocca e prende
a mordersi il labbro, aggrotta la fronte e storce il muso, con un’aria così
seducente e provocante che per quanto io ripeta a me stessa di esser trasparente,
non riesco comunque a staccargli gli occhi di dosso, in assoluta contemplazione
per quell’ uomo che vorrei stringere e baciare e spogliare e sentire accanto
come un anno fa.
“Dai Tina, non essere
ridicola!” – commenta Tom, quasi invidioso della sua donna che si dimostra di
gran lunga più giovanile e versatile di lui.
Li guardo e penso a come
saremmo stati io e Riccardo alla loro età. Riccardo avrebbe fatto storie per
ogni secondo passato senza di lui? Avremmo giurato di odiarci ogni giorno, dopo
esserci dati un bacio? Avremmo avuto dei bambini? O forse solo due cani?
Avremmo organizzato feste
e cene con Jack e gli altri? O saremmo stati una coppia da crociera che
percorre e ripercorre il Mediterraneo giocando a carte e spendendo quel che
resta della pensione, al casinò?
Non lo saprò mai ma mi
sarebbe piaciuto scoprirlo con lui, percorrendo ogni passo accanto a quell’uomo
che resta la parte più bella di me.
“Con questa penso di
farcela!” – commenta Tom, avviando quel che sembra essere, dalle prime note,
Stand By Me.
“Era ora vecchiaccio!” –
commenta soddisfatta Tina, per aver raggiunto il suo scopo.
Riccardo l’accompagna tra
le braccia del suo uomo e lascia il centro della sala libera. Mi guarda una
volta e poi ancora, con la stessa insistenza, profondità. Non mi stacca gli
occhi di dosso, neanche quando prova a riaccendere il suo sigaro. “Non farlo,
non farlo!” – vorrei dirgli. Non sopporterei l’ennesimo teatrino: non
avvicinarti, non farlo perché non saprei reggere la distanza tra il mio corpo
ed il tuo. Non avvicinarti se non sai amarmi. Non avvicinarti se non vuoi che
mi innamori di te ancora una volta, ancora come una volta.
Abbasso lo sguardo e
cerco qualcosa da versare nel bicchiere ormai vuoto ma il mio alcolismo cronico
sembra non fermare Riccardo, che avvicinandosi a me, sfila il calice dalle mie
mani e lo ripoggia sul tavolo, attirandomi a lui, invitandomi a ballare.
“Non farlo…” sussurro,
con gli occhi gonfi, quasi spaventata da quella vicinanza, al punto da tenere
le mie mani ritte a far da barriera ai nostri corpi.
“Prendiamoci una pausa da
tutto questo…” – biascica lui.
“Non devi fingere, non è
necessario adesso!” – indico Tom e Tina così concentrati ad amarsi da non
notare la nostra estraneità.
Riccardo fa un passo
indietro contrariato, stringe la mano in un pugno, quasi a voler nascondere il
dolore in una sola mano, quasi a voler trattenere un’anima disperata, in cinque
dita.
“Vorrei saper fingere
fino a questo punto, ma non ne sono in grado…” spiega risentito e prende a
guardare il cielo, in cerca del coraggio che non ha, della forza che non trova
per dirmi – ti va di ballare?-
Lascio cadere il mantello
dell’invisibilità, lo calpesto e lo stropiccio. Faccio qualche passo verso il
mio uomo accorciando la distanza tra noi e mi ritrovo ritta di fronte a lui: è
tutta vita, Daisy, è tutta vita! – ripeto a me stessa.
Mi guarda con gli occhi
feriti e nostalgici, mi guarda come una cince che non vuole abbandonare il
nido, o come una talpa in cerca della sua tana: mi guarda e nel suo sguardo
rintraccio la sicurezza che aveva perso da tempo: Riccardo è a Casa, Casa sono
io.
Gli porto le braccia al
collo e nascondo il mio viso a metà tra il suo capo e le sue spalle, perdendomi
nel suo petto, facendo l’amore col suo odore, incatenando il mio cuore al suo.
Negli istanti successivi
è scomparso tutto, Tom e Tina non erano che due statuine lontane, La quercia
non era che un ammasso di legname, Baster e gli altri erano tutti così lontani
e Naomi… chi è Naomi?
Riccardo mi stringe così
forte da farmi mancare il fiato, sento la sua pressione sulle mie vertebre ed
il mio corpo quasi imprigionato nel suo: è un misto di dolore e rabbia, di
amore e passione, di forza e debolezza. Ha il capo perso sulle mie spalle ed il
suo viso diventa un tutt’uno con il mio abito a fiori: mi abbraccia in un modo
che non saprei definire se non con varie immagini… una corda che mi lega, un
focolare che mi scalda, un cuore che pulsa ritmicamente contro il mio petto,
così veloce ed intenso da percepirne i battiti.
Sporgo il capo verso
destra ed affondo nella lunga e folta barba scura, lascio che le mie labbra si
perdano in quella morbidezza ma senza baciarlo: affondando solo la mia bocca
sulle sue gote, pressando fino a sprofondarci dentro.
“Mi manchi…” – sussurro.
La sua presa diviene ancora più intensa, impetuosa, quasi a voler fondere il
suo corpo col mio: è come se volesse abbracciarmi per tutte le notti che non
l’ha fatto, per tutti i giorni trascorsi a pensare, per tutti i baci persi.
Il mio telefono prende a
squillare, Riccardo si irrigidisce ma per qualche istante resta immobile per
poi allontanarsi dal mio corpo e voltarsi immediatamente dalla parte opposta.
Il colletto del mio abito
è bagnato, inumidito è la risposta di Riccardo al “mi manchi…” non farlo, non
piangere sulla mia spalla se non mi permetti di asciugarti le lacrime. Cerco il
suo sguardo che ormai è solo un ricordo lontano. Tocco il mio abito e lo guardo
ma Riccardo non c’è più.
Al telefono è Jack, mi
tiene in attesa per qualche secondo e poi sgancia il colpo.
“Dobbiamo andare!” –
sussurro.
“Ma se non abbiamo ancora
preso il dolce!” – si oppone Tom.
“Jack ha bisogno
dell’auto di Riccardo per trasportare la console e le casse: stanotte è la
prima!” – lo rincuoro, ricordandogli dell’apertura del Resort.
“Mi dispiace, volevo
avervi qui ancora un po’” – sentenzia Tina.
Riccardo li saluta
timidamente, richiudendosi a riccio nel suo mutismo cronico, dopotutto,
piangere tra le mie braccia non era tra i suoi piani.
“Cos’è successo davvero?”
– domanda una volta in macchina.
“Naomi ha avuto un calo
di pressione e chiede di te”- dico tutto d’un fiato.
Riccardo sgancia un pugno
sul manubrio, chiude gli occhi per qualche secondo scuotendo il capo a destra e
manca. Si accende una Marlboro e perso nei suoi pensieri continua a dissentire,
colpendo più volte il volante.
-Di cosa ti meravigli?-
vorrei urlargli. “ Stai pagando il conto delle tue scelte…- ma preferisco
restare in silenzio, chinarmi e raccogliere il mantello: sono trasparente… e la
vita, qui sotto, è quasi sopportabile.
Nina Solamente
(Proprietà letteraria riservata ©Copyright Nina
Solamente)
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