I racconti sono stati tanti ma la giuria sovrana ne ha votati due... A chi tocca nun se ingrugna e ringraziamo chi ha partecipato .....
Boys and Girls...siamo tutti qui riuniti per omaggiare la notte delle notti...
Le creature oscure sono state chiamate a rapporto per leggere il racconto da voi scelto intorno ad un falò ..
Spegnete la luce...accendete una candela e immergetevi nella storia nel silenzio della vostra stanza...
Qual è il racconto che più vi fa paura?
Votatelo nel sondaggio e nascondetevi....ormai non siete più al sicuro!
Ora siete pronti a votare?
1° Racconto:
PHANTOM LOVER
Capitolo 1
Sdraiato sul letto, fissò il soffitto e si chiese per l’ennesima volta cosa ci fosse di sbagliato in lui.
Due sere prima, un pezzo di marcantonio lo aveva invitato a cena; avevano conversato e sorriso, consapevoli di dove li avrebbe condotti il dopo. E ci erano arrivati. Diavolo, se ci erano arrivati.
Mason – così di chiamava il pezzo d’uomo – viveva in un appartamento a Little Italy. Un bel posticino, non uno che avrebbe scelto per sé, ma niente male. Pareti bianche, mobili scuri, nessuna suppellettile inutile. Maschile, insomma.
Erano entrati in camera da letto tra un bacio bagnato e l’altro, si erano buttati sulla trapunta e lui si era ritrovato schiacciato dal corpo massiccio. Piacevole. Anche quell’aspettativa che gli chiudeva lo stomaco e gli faceva rizzare l’uccello lo era, quindi poteva sperare per il meglio.
Via i vestiti, ancora baci umidi, mani ovunque e sfregamenti emozionanti. E poi il deragliamento.
Mason lo aveva penetrato con un dito lucido di lubrificante, sussurrandogli all’orecchio che gli avrebbe fatto visitare le stelle e, per un folle attimo, ci aveva creduto, tuttavia non era successo.
Era stato sdraiato ad ansimare come un cane dopo una corsa, a incontrare le spinte dei fianchi e a pomparsi l’uccello, mentre la sua mente vagava per altri lidi e si distraeva.
Perché non gli avevano dato la prostata? Era fallato? E la parola non voleva essere usata con malizia.
Si premette il palmo sulla fronte ed esalò un sospiro sofferto.
Tutti i suoi partner sessuali gli promettevano meraviglie, tuttavia queste stelle ancora gli sfuggivano.
Prostata? What else?
Caro Clooney, avrebbe voluto dirgli, non parliamo di ghiandole o nodi di nervi o chissà cos’altro, perché il sottoscritto ne è sprovvisto.
Non la aveva. Non esisteva un’altra spiegazione. Quando lo avevano montato, si erano scordati di fornirgli quel pezzo ed ora doveva recitare la parte come Sally in quel famoso film con Harry, ma senza nessun risvolto comico.
Ventiduenne senza prostata cerca compagno, avrebbe potuto mettere un annuncio o sperare in un miracolo.
Forse dipendeva dai suoi partner e dalla loro incapacità. Forse la sua era nascosta, tipo Alla Ricerca della Prostata Perduta, e loro non erano Indiana Jones. Forse lui doveva smetterla di aspettarsi le stelle e il firmamento, accontentarsi di venire con la masturbazione e basta. Le donne non lo facevano da millenni con la chimera del Punto G?
Imprecò e si scompigliò i capelli, raddrizzandosi di scatto.
«Non pensiamoci più. La prossima volta andrà meglio, verrai travolto dalla passione di cui si parla nei libri e ti sentirai completo.» Questa puttanata se la raccontava ogni volta che tornava a casa frustrato e iniziava a esserne stanco lui per primo.
Si alzò in piedi e si diresse alla libreria. Le copertine colorate dei romanzi sembravano deriderlo in silenzio.
«Loro hanno la prostata. Tutti, indistintamente.» Sospirò, ne estrasse uno a caso e tornò al suo piccolo nido di commiserazione, sotto le coperte.
«Vorrei solo sapere se sono normale. Se anche io ce l’ho e devo trovare l’uomo con le dita e il cazzo giusto, o rassegnarmi all’inevitabile.»
Non che la gente andasse in giro con il cartello esposto sul davanti, oppure tre quarti della popolazione femminile da sola avrebbe esaurito il materiale, però…
«Forse un giorno succederà un miracolo.»
Capitolo 2
Hunter entrò nel locale vuoto e si sedette a uno degli sgabelli davanti al bancone. Aveva volutamente ignorato il cartello alla porta, perché tanto a lui non serviva il permesso di entrare da qualche parte.
Il ragazzo ossessionava le sue giornate uscì dal retro e si bloccò, fissandolo con le sopracciglia aggottate. «Siamo chiusi,» disse perplesso, lanciando uno sguardo alla porta con tanto di cartello.
Hunter sorrise, mettendo in mostra le sue sensuali fossette. «Solo una birra,» rispose piegando la testa e assumendo un’espressione speranzosa.
Il ragazzo esitò e poi alzò le spalle, posando la casetta di bicchieri sporchi e prendendo una bottiglia. «Posso offrirne una a te?» disse, poggiando i gomiti sul legno sbeccato.
L’altro arricciò le labbra pensieroso, ma poi decise che il suo turno era finito e che poteva anche lasciarsi andare un po’. Prese da bere e lo studiò, aggrottando le sopracciglia. «Ci siamo già visti?»
Hunter sorrise. «Abito qui vicino, magari mi hai visto passare.»
«É la prima volta che entri in questo bar?»
Annuì e si fermò prima di prendere la bottiglia e portarla alle labbra. «Sarebbe stato strano parlarti con tanta gente in giro.»
L’altro aggrottò la fronte.
«Io sono Hunter,» si affrettò a dire per evitare di ricevere qualche scomoda domanda.
«Ian,» disse l’altro senza smettere di studiarlo. «Che volevi dire con strano?»
Sospirò e lo guardò intensamente negli occhi. Ian deglutì la birra che aveva in bocca e spostò il peso del corpo da un piede all’altro, a disagio.
«Visto che non mi basta più guardarti, e che odio ogni ragazzo che ti si avvicina, è meglio che tu sappia subito la verità.»
Ian sgranò gli occhi, il braccio fermo a mezz’aria. «Cosa?»
Hunter fece un sorriso e alzò una mano per prendere la bottiglia, ma il suo corpo inconsistente non gli permise di farlo. «Sono un fantasma, Ian. Ti conosco da quando ti sei trasferito un anno fa e solo da poco mi sono accorto che puoi vedermi. Sei l’unico che riesce a farlo.»
L’altro sobbalzò e si tirò indietro, alzando le mani come a proteggersi.
Hunter sbuffò, continuando a provare a prendere quella stramaledetta birra. «Credimi è frustrante da morire. Posso muovere gli oggetti se mi concentro, ma in questo momento sono troppo impegnato a stare seduto. E lo so che sembra assurdo, ma è così. Io sono vero, anche se morto.»
Ian lo guardò scioccato. «E perché posso vederti? Cioè perché io? Non somiglio a Whoopi Goldberg e, perdonami, ma tu sei quanto di più distante possa esistere da Patrick Swayze.»
Strinse le labbra per non ridere e alzò un dito. «In questa storia tu saresti Demi Moore. Vuoi provare la scena del vaso?» Chiese ridacchiando, cominciando a canticchiare la colonna sonora.
L’altro arricciò il naso e scosse la testa. «Ho una naturale avversione per l'arte, tipo che se io tocco un tornio quello si spacca. Siamo incompatibili, un po’ come acqua e olio. No, forse non era così.» Ondeggiò la mano e corrugò le sopracciglia un solo secondo. «Non importa tanto hai capito, quindi niente vaso, e poi ho i fianchi troppo larghi per fare Demi Moore.»
Hunter fece uno sbuffo. «I tuoi fianchi sono sexy.»
Ian schioccò la lingua e si guardò, torcendo il corpo per vedere anche il suo di dietro. «Hai ragione e poi questi jeans...» Si riebbe all'improvviso, piantò i palmi sul bancone e si sporse in avanti. «Perché ti vedo se sei un fantasma?»
Hunter mimò un esplosione con le mani. «Tu possiedi la vista.» Alzò un angolo della bocca e si sporse verso di lui. «Hai incontrato tanti fantasmi, ma non sapevi che lo fossero. Hai presente il signor Wong? Il tizio che sta sempre fuori dal ristorante cinese all’angolo? É morto nel 1976.» Alzò le spalle, inclinando la testa. «Nessuno di loro si rende davvero conto di essere morto e salutarti è la normalità.»
Ian scosse la testa sempre più incredulo. «Vuoi dirmi che sono un pazzo con il terzo occhio tipo Tensing?»
Ridacchiò divertito. «Il tizio pelato di Dragon Ball non vedeva i fantasmi e tu non sei pazzo, hai semplicemente un dono.»
Ian incrociò le braccia al petto e lo guardò scettico. «Per chi sarebbe un dono? Per te che puoi parlarmi? Perché chiunque mi considererebbe un pazzo che parla da solo.» Spalancò la bocca e si sbatté il palmo in faccia, tirandolo con forza verso il basso abbastanza da deformare i propri lineamenti. «Vuoi dire che io saluto tizi che non esistono mentre la gente mi passa vicino? Ecco perché le persone mi guardano spesso come se non ci stessi con la testa. Come faccio a smettere?»
Sicuramente per Hunter era rincuorante. Parlargli era un desiderio che covava da tempo e non aveva pensato a come avrebbe reagito Ian. La stava prendendo meglio del previsto e non aveva ipotizzato che vedere i fantasmi lo infastidisse. Cercò di fare un sorriso. «Non lo so.» Improvvisamente si sentì un cretino che sperava di trovare qualcuno con cui parlare, dopo anni di solitudine. Si alzò lentamente e fece spallucce. «Sono venuto a parlarti adesso che sei solo, proprio per evitarti occhiatacce strane dagli altri, ma non lo farò più. Hai ragione, forse il tuo dono è un bene solo per me.»
Per istinto Ian allungò la mano, ma le sue dita afferrarono solo aria. «Non andartene. Le persone pensano già che io sia strano, che parli con gente invisibile è solo la miglior spiegazione che riesco a darmi, ma i motivi possono essere tantissimi. Mi hai visto in giro? Hai visto cosa riesco a fare?» Sbuffò e alzò gli occhi al cielo. «Senza offesa amico, ma sei l'ultimo della mia personale lista di stranezze.»
Hunter osservò le dita di Ian e poi alzò lo sguardo verso di lui, un sorrisetto malizioso a curvagli la bocca. «In cima c’è quel problemino di non riuscire a trovare la prostata?»
Capitolo 3
Oh. Cazzo.
Come diavolo faceva quel tipo, fantasma o meno che fosse, a conoscere il suo piccolo problemino?
Si sporse in avanti, il viso piegato dalla preoccupazione, e sussurrò: «Te ne ho parlato o l’ho gridato a voce alta?» Non che sarebbe stato strano trattandosi di lui, ma…
Hunter scosse la testa, le labbra tirate per impedirsi di ridere. Bastardo.
«Hai l’abitudine di parlare da solo ogni tanto, io mi trovavo per caso nelle vicinanze durante il tuo ultimo monologo.»
Si tirò indietro e torse le labbra. Plausibile. Parlava da solo in effetti e l’ultima volta… Gemette al ricordo di Mason, del suo impegno e di tutta la scenata teatrale che aveva dovuto mettere in piedi per non ferire il suo ego maschile.
«Okay, okay, il mio piccolo problema occupa gran parte delle mie giornate, ma non vado in giro a sbandierarlo.»
Non lo faceva, giusto?
Scrutò preoccupato gli occhi del suo interlocutore che si era fatto improvvisamente silenzioso, gli occhi sfuggenti e il pomo d’adamo che saliva e scendeva come impazzito.
OmioDiononpotevaesserevero.
«Può darsi, ma la mia è solo un’ipotesi, che tu ne abbia parlato alla signora Ginger, la vecchietta che gestisce il market. Non è stato un vero e proprio discorso e lei era impegnata, però… Insomma qualcosa hai detto. Poi al parco ne hai parlato con Buch.»
«Buch?» Lo interruppe incapace di trattenersi. «Chi cazzo è Buch?»
«L’husky della tua vicina di casa. Era domenica mattina e tu lo hai portato a spasso, raccontandogli le tue disavventure per circa mezz’ora.»
Aveva parlato con un cane? Ci pensò su e, ancora una volta, si rispose che era possibile.
Era strano, va bene? C’era qualcosa di male in questo?
Deglutì, sentendosi sempre più a disagio e brontolò sottovoce.
«Dicevi?» Chiese Hunter, adesso visibilmente poco in grado di reprimere la risata che gli tirava gli angoli delle labbra e gli arricciava gli angoli degli occhi.
«Oh va bene, forse, e dico forse, ho parlato con qualcuno del mio problemino, però questo non vuol dire che lo sappiano tutti.» Scrutò gli occhi del suo nuovo amico e infine chiese, la voce ridotta a un filo sottile: «Giusto?»
«Certo che sì,» rispose veloce, troppo veloce.
Lo guardò sospettoso e alla fine scrollò le spalle. Ormai, che lo sapesse tutta la popolazione mondiale o meno, non ci poteva fare molto.
«Forse diventerò un caso scientifico mondiale, mi inviteranno da Ophra e mi studieranno in laboratorio.»
«Ophra non lavora più dal 2011.»
«Dettagli,» disse, ondeggiando la mano e continuando il suo sogno a occhi aperti fatto di celebrità, tappeti rossi e denaro.
«Domani è Halloween.» Quella semplice frase lo spinse a bloccarsi e aggrottare la fronte.
«E quindi? Credi mi dovrei travestire da gigantesca prostata?»
La risata, trattenuta a stento fino a quel momento, eruppe con potenza dalle labbra piene e rosate dell’uomo.
Aspetta un attimo, piene e rosate? Da quando notava quei particolari?
Da quando speri che il tipo carino con cui stai farneticando delle tue stranezze ti noti.
Okay, per fortuna la sua doppia personalità era sempre sul pezzo e in grado di informarlo in tempo reale.
Osservò bene il nuovo amico e, porca vacca, era davvero bello. Forse aveva fatto finta di non notarlo o forse era stato distratto dal suo problemino e dall’impatto che avrebbe avuto su uno sconosciuto, ma comunque… Porca vacca.
Tamburellò le dita e inarcò un sopracciglio, mentre Hunter tossiva nel pugno chiuso e cercava di darsi un contegno.
«C’è una festa…»
«Dai amico, c’è sempre una festa a Halloween,» lo interruppe, roteando gli occhi con fare drammatico.
«No, intendevo dire che un tizio che conosco da una festa e…»
«Un altro spirito?» Non poté fare a meno di dirlo, anche se si rese conto di averlo interrotto di nuovo. Doveva sapere a cosa stava per andare incontro. Una stanza piena di gente che solo lui poteva vedere? Rabbrividì al solo pensiero.
Doveva ragionare su questa cosa e venire a patti con la nuova stranezza appena scoperta. Dopo.
Hunter sbuffò e si sporse in avanti, i solidi avambracci piantati sul bancone di legno. «E’ davvero importante o stai cercando di divagare?»
Domanda interessante per la quale non aveva una risposta. Arricciò le labbra e trattenne uno sbuffo.
«Come immaginavo,» mormorò l’uomo, raddrizzandosi e sorridendo soddisfatto. «Quindi, tornando a noi, ti andrebbe di andarci con me?»
«Perché?» Balbettò incapace di trovare una domanda migliore.
Hunter scosse le spalle e ridacchiò. «Perché sei te stesso. Sempre. Non ti nascondi, non cerchi di apparire migliore e poi…» Si sporse di nuovo, la voce ridotta a un soffio leggero. «Credo che quel problema che pensi di avere potrebbe compromettere la tua vita sociale.»
«Non penso di averlo, ne sono certo.» Si accigliò, scuotendo la testa e trattenendo un sospiro sconsolato.
Tutti pensavano che lui se lo inventasse, ma la sua prostata doveva essere stata assegnata a qualcun altro, qualcuno che, bastardo fortunato, ne aveva due.
«Io non ne sono convinto.»
«E da quando saresti un esperto in materia?» Chiese con più sarcasmo di quanto avrebbe voluto.
«Da quando nessuno si è mai lamentato.»
Niente che non avesse già sentito, tuttavia il suo uccello parve interessato alla proposta e si raddrizzò tutto contento.
Stupido idiota che non aveva ancora capito come finivano le grandi promesse.
«Dimmi luogo e ora. Almeno mi godrò la festa.»
«Non solo quella, credimi,» sussurrò Hunter con un sorriso da stregatto dipinto sulle labbra.
Capitolo 4
Hunter si accorse che c’era qualcosa di diverso prima ancora di arrivare alla festa. Essendo un fantasma, non dormiva e non aveva bisogno di sfamarsi. Eppure, fin dalle prime ore del 31 di ottobre, si accorse di avvertire i sintomi della fame e della stanchezza. Non era morto da neanche un anno e quella era la prima volta che gli capitava una cosa simile.
Così aveva deciso di schiacciare un pisolino nel suo vecchio appartamento ancora sfitto, proprio accanto a quello di Ian, e si era svegliato giusto in tempo per andare alla festa.
Aveva camminato per pochi isolati e solo quando aveva provato a oltrepassare la porta senza toccarla, ci aveva sbattuto contro. Un paio di ragazzi lì fuori avevano ridacchiato, gridandogli che non era uno spettro e che per entrare doveva necessariamente farsi aprire.
Quindi eccolo lì, in carne e ossa, a mangiare dal piccolo buffet offerto dalla casa.
Perché era di nuovo umano? Cosa stava succedendo al suo corpo? Era temporaneo?
Non ne aveva la minima idea e non voleva neanche sprecare tempo a pensarci, voleva solo godersi la serata. Magri in compagnia di Ian.
Si voltò verso la porta, alzando il mento per riuscire a vedere oltre ai corpi che saltellavano e ballavano al centro dell’enorme salone. Aveva sentito di quella festa da un ragazzo di una confraternita e, quando aveva proposto quell’uscita, era l’unico luogo che gli fosse venuto in mente.
Mosse la testa e i fianchi al ritmo della musica martellante e si prese un bicchiere di birra, spostandosi nella zona più silenziosa. Il suo abbigliamento non aveva nulla di particolare, in pratica era vestito come il giorno in cui era stato seppellito, con un abito elegante e di buona sartoria. I suoi genitori non avevano badato a spese, quando li avrebbe incontrati nell’aldilà li avrebbe ringraziati.
Intercettò lo sguardo di un paio di ragazze che lo osservavano maliziose. Una vestita da Poison Ivy e l’altra da Mercoledì Addams. Molto carine, ma entrambe troppo femmine per lui. Sorrise loro e scosse appena la testa, indicando sfacciatamente il gruppo di ragazzi palestrati che ridevano all’angolo della cucina.
La ragazza più bassa, quella vestita da Mercoledì, alzò gli occhi al cielo e sbuffò, spostando lo sguardo sul resto della sala, in cerca di un’altra vittima. Quella più alta accanto a lei, sgranò gli occhi e arricciò il labbro inferiore come una bambina, sperando di smuoverlo a compassione.
«Come fanno a vederti?» domandò Ian al suo fianco.
Hunter si voltò e, istintivamente, si sporse verso di lui infilandogli una mano tra i capelli e posando il naso contro la tempia. Inspirò e si avvicinò, finendo per invadere tutto il suo spazio vitale. «Non ne ho idea e non mi interessa,» disse, con la bocca incollata al suo orecchio. «Finalmente posso toccarti,» sussurrò con un sospiro, allontanandosi per guardarlo negli occhi. «Potrebbe essere la magia di Halloween. Solo per questa notte posso essere ancora umano, posso sentire i sapori, i profumi, il calore.» Gli sfiorò la guancia con il pollice e sorrise. «Non voglio sapere il perché, voglio solo godermi ogni secondo di questa notte con te. Te l’ho promesso, no?»
Ian venne attraversato da un brivido, poi inarcò un angolo del labbro in un sorrisetto storto e disse: «Tu sei uno che mantiene le promesse, vero?»
«Sei impaziente di scoprirlo?» rilanciò, affondandogli una mano nei capelli e abbassando lo sguardo sulla bocca.
L’altro si umettò le labbra e Hunter chinò il viso in avanti. Non avrebbe dovuto sentire l’emozione dietro quel gesto. Non avrebbe dovuto sentire il cuore battergli forte nel petto, eppure quel suono era lì, nelle sue orecchie, a fargli vibrare il corpo.
Annullò la distanza tra di loro e costrinse Ian ad alzare le testa. Si mosse seducente contro la sua bocca, spronandolo ad aprirla. Ian gemette e si concesse a lui, sfiorandogli la lingua e aprendo di più la bocca per invitarlo. Hunter non perse tempo, si spinse contro di lui, approfondendo il bacio, mentre il resto della festa andava avanti, tra grida e suoni indistinti.
Il calore era familiare, ma più bello di come ricordava. Il sapore era fantastico, come assaggiare una pesca matura, succosa e dolce. Ricordava com’era baciare un altro ragazzo, ma farlo con Ian sembrava del tutto diverso. Nuovo.
Aumentò l’intensità di quell’incontro di lingue, come se all’improvviso si fosse reso conto di non avere più tempo a disposizione. Forse quella era solo una parentesi, un’illusione temporanea, una sorta di regalo che gli sarebbe stato strappato via fin troppo presto.
Pensò di rallentare, ma Ian era di tutt’altro avviso. Rispondeva con la stessa intensità e frenesia, con lo stesso trasporto e la stessa urgenza. Voleva di più, esattamente come lui.
«Prendetevi una stanza,» disse qualcuno, ridacchiando.
Le labbra di entrambi si piegarono in un sorriso e scoppiarono a ridere, rimanendo vicini, ad accarezzarsi. Le dita di Ian gli stringevano le falde della giacca e Hunter gli teneva ancora la testa, l’altra mano poggiata sul fianco.
«La sua idea non mi dispiace,» mormorò, posandogli dei leggeri baci sulla mascella e sul collo. «Però possiamo restare un po’ a divertirci e poi andare a casa, che ne dici?» Spinse il bacino contro il suo per fargli capire quanto quel bacio avesse risvegliato il suo uccello. «L’attesa aumenta il piacere.» Nonostante avesse una voglia irrefrenabile di stare dentro Ian, voleva anche dargli la possibilità di tirarsi indietro. Si conoscevano da poche ore e non voleva dargli l’impressione di essere un maniaco.
Ian arrossì e nascose il volto nel suo collo. Hunter gli accarezzò i capelli e attese, sorridendo. C’erano tante cose strane in quel momento e voleva che fosse speciale per entrambi.
Ian si schiarì la voce e si raddrizzò, scuotendo la testa come per snebbiarsela. «Beviamo un po’ prima e godiamoci la festa, abbiamo tempo per tutto il resto.»
Annuì e gli prese la mano, indirizzandolo verso il buffet. Gli versò un bicchiere di birra e poi fece cozzare i due bicchieri di carta per un brindisi. Lo osservò e dopo aver deglutito un sorso, piegò la testa di lato. «Da cosa sei vestito?» chiese curioso.
Ian si guardò e poi alzò gli occhi su di lui, contrariato. «Ho un mantello nero, la faccia dipinta di arancione e una zucca sotto il braccio, secondo te?»
Hunter arricciò il naso. «Mi aspettavo un costume più stravagante da uno come te. Non Jack O’Lanter.» Strinse le labbra per non ridacchiare.
Ian sbuffò e alzò gli occhi al cielo. «É stato l'unico che sono riuscito a mettere insieme con così poco preavviso e poi mi so adattare. Non trovi che l'arancione mi doni?»
Hunter inclinò il viso, osservandolo dalla testa ai piedi. «Ti dona il nudo,» disse, nascondendo la bocca con il bicchiere. «Capisco che sarebbe stato impossibile per te arrivare alla festa con niente addosso, quindi apprezzo lo sforzo.»
Ian roteò gli occhi e si spostò per assestargli una spallata giocosa. «Stai solo cercando di infilarti nelle mie mutande.» Sorbì un sorso e gli occhi gli brillarono di malizia a stento trattenuta. «Puoi sforzarti meno, sono una botta sicura.»
Hunter si morse il labbro inferiore e si avvicinò a lui. «Anche tu puoi smetterla di lanciarmi questi sguardi maliziosi e dire cose eccitanti. Stanotte ti scoperò Ian, non devi convincermi, anche se indossi uno stupido costume arancione.»
Ian scoppiò a ridere e bevve il resto in un lungo sorso, finalmente rilassato. «Adesso che abbiamo stabilito le basi direi che possiamo divertirci. Balliamo?»
Lasciò il bicchiere sul primo ripiano disponibile e lo prese per mano, avanzando tra le folla e mettendosi in mezzo alla pista improvvisata. Dalle casse proveniva una sequenza di musiche techno anni novanta ed entrambi iniziarono a ballare, strusciandosi, un po’ per provocarsi un po’ per il continuo ondeggiare di altri corpi. Finirono schiacciati l’uno sull’altro, la gamba di Hunter che si infilava perfettamente tra quelle dell’altro. Nonostante la musica non necessitasse di un contatto così intimo, sembrava che non potessero fare a meno di toccarsi. Gli occhi di Hunter si fermarono di nuovo sulle labbra di Ian che, provocatorio, non faceva che morderle o leccarle. Non sapeva se lo stesse facendo per spingerlo a baciarlo oppure per torturarlo.
Quando la musica cambiò ritmo, diventando più lenta, Ian gli circondò le spalle con le braccia, strusciando la fronte contro la sua guancia. Hunter chiuse gli occhi e gli mugugnò nell’orecchio. L’altro fece scivolare la mano sul retro del collo, fino alla guancia, dove lo accarezzò dolcemente con le dita.
«Che bella sensazione,» sospirò Hunter, deliziato da quel tocco innocente. Era sempre stato una persona che amava il contatto fisico, lo era stato con la sua famiglia, gli amici e con i suoi partner. Alcuni di questi ultimi non avevano mai davvero apprezzato quel suo bisogno quasi morboso di entrare costantemente in contatto. Hunter, però, voleva essere toccato, voleva toccare gli altri per una strana forma di conforto. Forse si era sempre sentito insicuro di se stesso o delle sue scelte, e cercava sollievo negli altri attraverso una carezza o un abbraccio.
Da quando era morto il contatto era stato impossibile. Faceva ancora fatica a concentrarsi per afferrare degli oggetti e non poteva andare in giro a spaventare la gente solo per provare a stabilire un contatto.
Ma con Ian era diverso. Fin da quando lo aveva visto, sapeva che era una speranza. Non per il suo dono, non solo per quello, lo aveva spiato perché all’inizio lo aveva fatto ridere, poi incuriosire, poi ingelosire. Piano piano Ian era diventato il suo punto di riferimento, il suo affare in sospeso, l’unico uomo che avrebbe voluto toccare. Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di poterlo fare e ora che ne aveva la possibilità, non lo avrebbe lasciato andare troppo presto.
«Andiamocene,» disse all’improvviso Ian, scostando la testa per guardarlo negli occhi. «Direi che abbiamo ampiamente superato tutte le fasi di un appuntamento: bere, ballare e baciare. Le famose tre B.»
Scoppiò a ridere perché non aveva la più pallida idea di cosa stesse parlando. «La mia spiazzante sincerità ti ha eccitato?» domandò spostandogli le mani sul sedere.
Ian grugnì e gli morse scherzosamente la mascella. «Vuoi inzuppare il biscotto o no?»
Hunter gli rubò un bacio a stampo e, stringendoselo al fianco, lo trascinò via dalla folla e poi fuori dalla casa della confraternita. Superato il primo angolo, lo costrinse contro il muro e si avventò sulla sua bocca.
Il corpo dell’altro cedette come burro, si mosse languidamente e rispose a ogni singola stimolazione che facendogli drizzare l’uccello. «Voglio farti un sacco di cose. Abbiamo solo stasera e io voglio consumarmi le mani a forza di toccarti.»
Ian gemette e poi lo allontanò, spingendolo a sbrigarsi. «Troppe parole, pochi fatti. Siamo distanti tre isolati da casa mia.» Aveva il viso arrossato e il fiato corto, ed era eccitante oltre ogni dire.
«Sei un po’ troppo dispotico, te l’ha mai detto nessuno?»
«Mi sto fidando di uno sconosciuto, un fantasma sconosciuto, che dice di volermi far conoscere la mia prostata desaparecidos. Mi sento come se stessi per incontrare Obama o il Papa o Clint Eastwood o tutti e tre insieme. Sono nervoso ed eccitato.»
«Mi chiedo cosa mai potrebbero dirsi l’ex presidente, il Papa e Eastwood,» disse pensieroso, continuando a camminare e mettendogli un braccio sulle spalle.
Ian fece un verso. «Non è quello il punto. Questa cosa non ha il minimo senso e io cosa sto facendo? Niente! Ho lasciato che la parte razionale del mio cervello si facesse di ossicodone, così da restare completamente sballata. Sto lasciando a briglia sciolta il mio istinto e lui se ne va per lidi lontani.»
Hunter lo strinse al petto ridendo. «Stai dicendo cose senza alcun senso.»
«Tu non sei preoccupato? Neanche un po’?» chiese l’altro, alzando la testa.
Ci pensò e alzò le spalle. «Non voglio preoccuparmene adesso. Lo so che tutto questo è fuori dal comune, ma non mi importa. Voglio solo te in questo momento e il resto fanculo.»
Le pupille di Ian si dilatarono e inspirò a fondo l’aria fredda di fine ottobre. Gli prese la mano e corsero gli ultimi metri che li separavano dalla vecchia palazzina in mattoni dove abitava.
Salirono le scale, sempre di corsa, e Hunter chiuse la porta sue spalle con Ian avvinghiato alle labbra.
Impiegarono meno di un minuto per togliersi i vestiti.
Capitolo 5
Gli mancava il fiato ed era certo che, da un attimo all’altro, sarebbe svenuto, tuttavia niente lo avrebbe strappato da quelle labbra carnose e dalla loro promessa di Paradiso.
Okay, forse nel profondo era preoccupato e avrebbe voluto tenere una lezione sulla posizione della prostata, ma era davvero tanto importante?
Cazzo, certo che sì, urlò la sua libido, alzando la testa con fierezza.
In fondo è un bravo ragazzo e ti eccita come pochi altri, ribatté con più saggezza la mente.
Ora, a chi avrebbe dovuto dare retta? Perché una parte di lui, quella che trovava Hunter intrigante e divertente, avrebbe davvero voluto accontentarsi, ma… Eccolo quel gigantesco e traditore MA che faceva la sua comparsa e gli ricordava che poteva essere meglio di quello che aveva provato.
Arricciò le labbra senza rendersene conto e si scontrò con lo sguardo perplesso del suo compagno di serata.
«Se hai tempo per pensare non sto facendo le cose come si deve,» mormorò Hunter senza nessuna acredine nella voce, cosa che lo fece sentire ancora più una merda, sensazione che conosceva fin troppo bene.
Si passò la mano tra i capelli e spostò gli occhi verso il muro dov’era appeso L’Urlo di Much. Perché lo aveva messo lì e, soprattutto, perché non se ne ricordava? Forse ormai si era talmente abituato al proprio angolino che non vi faceva più caso, tuttavia non poteva dire fosse una bella sensazione.
Aspetta, un uomo voleva scoparlo e lui pensava al proprio arredamento?
Adesso capisci perché non hai la prostata? Intervenne prontamente la sua sarcastica coscienza, strappandogli una smorfia.
«Vieni qui,» sussurrò suadente il compagno, avvolgendogli il palmo intorno all’avambraccio e tirandolo contro il proprio corpo caldo. «Spegni quell’affascinante cervello iperattivo per alcuni minuti, lascia che sia io a occuparmi di tutto e limitati a sentire.» Il fiato caldo vicino all’orecchio e il brivido di anticipazione che provò lo convinsero a obbedire.
Fidarsi non era un problema in fondo, tanto sapeva già come sarebbe finita.
«Ho detto di smetterla di pensare,» venne rimproverato ancora, mentre, con una lieve spinta e una sculacciata, si ritrovarono in camera da letto.
Era un sacco di tempo che non ci portava qualcuno. Ormai si era rassegnato a rapporti mordi e fuggi, dove da mordere c’era davvero poco.
Si lasciò cadere sul letto e si voltò sulla schiena, osservando il corpo di quell’uomo meraviglioso.
Lo vedeva anche in forma di fantasma, ma questo non voleva dire che da umano fosse meno impressionante. Spalle larghe, torace ampio con una spruzzata di peli scuri che continuavano fino a condurre a un uccello tutt’altro che piccolo. A proposito di mordere poco, qui non avrebbe avuto quel tipo di problema. Sorrise tra sé mentre si trovava con le ginocchia piegate, le gambe spalancate e quell’uomo enorme che lo sovrastava.
«Le mie mani prudono dalla voglia di toccare ogni parte di te.»
«Allora non trattenerti.» Solo uno stupido glielo avrebbe vietato e non si era mai ritenuto tale. Forse un po’ particolare, quasi naif, sbadato, ma di certo non stupido.
Quelle grosse mani si avvolsero come manette intorno alle sue caviglie e risalirono, carezze ruvide a causa dei numerosi calli che segnavano il palmo e la punta delle dita.
«Suonavi la chitarra?» chiese, concentrato su quelle piccole asprezze che gli stavano regalando brividi di piacere.
«Non ti ho detto di smetterla di pensare?»
«Si, bè, non è che sia proprio dotato di un pulsante di spegnimento come la radio o la televisione,» rispose con più sarcasmo di quello che avrebbe voluto, guadagnandosi un’occhiata curiosa e un sorriso sghembo.
«Oh, hai un meraviglioso pulsante, ma non è ancora ora per quello.»
Alzò gli occhi al cielo e si morse la lingua. Non le labbra per provocarlo, no, proprio la lingua per non dirgli di evitare di perdere tempo. Nessun pulsantino segreto per Ian. Nada. Niet.
Una luce si accese negli occhi di Hunter e una risatina gli sfuggì dalle labbra. «Dovresti avere più fiducia nel sottoscritto.»
Prima che una risposta si potesse formare nel cervello, quelle labbra si posarono, aperte e peccaminose, al centro del suo petto e iniziarono a tracciare linee astratte delle quali presto si stufò di seguire il percorso. Chiuse gli occhi e si limitò ad assorbire i brividi e la pelle d’oca che ogni tocco generava.
Era diverso da qualunque cosa avesse mai provato prima. Diverso da chiunque altro.
Inarcò il corpo, rispondendo con un gemito al morso sul capezzolo e alla carezza umida che seguì subito dopo.
Tocchi lievi e poi strette più forti, leccate, baci, morsi, non aveva idea di cosa aspettarsi e questo non fece altro che far tendere il suo corpo come un elastico pronto a essere lanciato.
«Mi piace vederti tremare, mi dice che sto facendo le cose fatte bene.» La voce di Hunter sembrava arrivargli ovattata, tuttavia nemmeno quello lo preoccupò.
Si sentiva bene, avvolto in una beatitudine come quella indotta da una canna davvero buona, dall’alcool o da un orgasmo.
Socchiuse le labbra in cerca di aria, ma l’unica cosa che ne uscì fu un urlo sommesso. Spalancò gli occhi e boccheggiò alla vista del proprio compagno con la bocca avvolta intorno al suo uccello.
Hunter lo guardava con attenzione e malizia, mentre gli picchiettava la pelle sensibile con la punta della lingua e ingoiava, facendogli provare la più spettacolare delle sensazioni.
Gli affondò le mani nei capelli e li strattonò senza pensare, gemendo e inarcando i fianchi.
I palmi aperti si piantarono sui suoi fianchi, costringendolo a restare sdraiato, impedendogli di prendersi quello che desiderava e strappandogli un’imprecazione per la quale ottenne in risposta una risata che vibrò contro la sua asta ipersensibile.
«Devi avere pazienza.» Hunter lo rimproverò con un sorrisetto arrogante e tornò a impadronirsi del suo uccello, succhiandogli solo la punta, mordicchiandogli la pelle per poi affondare di colpo su di esso e avvolgerlo tra le labbra.
«Questo è il miglior pompino di sempre,» disse, un po’ boccheggiando e un po’ balbettando. Non era nemmeno certo che dalla bocca gli uscissero parole sensate, visto che il cervello era diretto nello spazio siderale del piacere.
Il compagno ridacchiò intorno alla sua asta e lui si limitò a imprecare e cercare, ancora una volta, di prendere il controllo, senza nessun risultato.
Quell’uomo era troppo grosso, troppo forte e troppo bravo per la sua sanità mentale. Era certo che gli stesse risucchiando la materia grigia dalla punta del cazzo e che presto lo avrebbe ridotto a una massa informe e non pensante. Ma soddisfatta. Quest’ultima era una bella consolazione.
Vibrò e si tese, l’orgasmo tanto vicino da poterlo accarezzare, poi tutto finì.
Spalancò gli occhi, il respiro ridotto a un piccolo rantolo, e rabbrividì per il contatto dell’aria sulla pelle bagnata.
«Che cazzo,» mormorò con la voce tanto roca da sembrare un fumatore incallito dopo un intero pacchetto. Non proprio l’immagine sexy che avrebbe voluto trasmettere di sé, insomma.
Hunter si leccò le labbra e gli strinse le palle nel palmo, giocando con loro, facendole scivolare tra le dita come un perfetto paio di biglie.
«Non vogliamo correre.»
Chi lo diceva? Perché lui avrebbe corso volentieri in quel momento. Vedeva il traguardo da lontano, il nastro da tagliare, le persone che lo acclamavano e lo champagne carico di schiuma che…
Si inarcò e gemette del tutto privato del fiato, mentre le sue palle venivano tirate, con delicatezza ma pur sempre tirate.
Sollevò la testa e lanciò un’occhiataccia a Hunter che ricambiò con un sorrisetto.
«Ti stavi di nuovo perdendo nelle tue fantasie e io ti voglio presente. Ora inizia lo spettacolo vero e proprio.»
Piagnucolò internamente senza darlo a vedere e si lasciò ricadere sul materasso, rimbalzando appena.
Si stava divertendo tanto fino a quel momento, perché doveva finire tutto? Perché iniziare una caccia al tesoro senza tesoro? Solo uno scemo lo avrebbe fatto e lui non lo era, lo aveva già detto, no?
«Lecca,» ordinò il compagno, avvicinandogli il dito alle labbra.
Oh, lui sapeva cosa avrebbe fatto con quel dito. Ogni gay sulla faccia della terra lo avrebbe saputo, ma loro si sarebbero divertiti, lui un po’ meno. Però non voleva deludere Hunter. Quell’uomo magnifico si era impegnato per rendere quel rapporto il migliore di cui avesse memoria e, cazzo, aveva fatto meta, strike e qualunque altra cosa potesse venire in mente. Non era colpa sua se qualche pezzo era andato perduto. No, Hunter meritava tutta la sua collaborazione e la sua devozione per averlo portato così vicino al cielo, nonostante fosse un fantasma in forma umana solo per una sera.
Se la vita di qualcuno faceva ridere, Ian non poteva negare che fosse la propria.
Cosparse le dita di saliva, abbastanza perché gli colasse anche sul petto, e poi attese l’inevitabile.
Hunter avrebbe violato l’anello di muscoli (lo aveva letto in un libro e l’espressione aveva creato nella sua testa un’immagine molto più poetica di quanto non fosse la realtà), spinto, torto e ritorto per… uscirne sconfitto. Era una cruda verità con cui aveva imparato a convivere ormai. Mai che qualcuno…
Saltò sul letto e arpionò le coperte per paura di finire sul pavimento, sollevò la testa e boccheggiò sotto shock.
«Cosa è successo?»
«Intendi dire quando ho fatto questo?»
Una scossa elettrica gli percorse l’intero corpo, gli drizzò i capelli come il migliore dei gel in commercio e frisse le ultime cellule cerebrali ancora sane.
«Oh. Mio. Dio. Cos’è stato?» Non sapeva cosa fosse, ma, porca puttana, avrebbe potuto continuare a elettrificarlo per il resto della serata.
«La tua prostata.»
«La mia cosa?» chiese, incapace di dare un senso a quello che stava sentendo.
«Prostata. PRO.STA.TA.» Lo derise facendogli la divisione in sillabe e strizzandogli l’occhio. «Hai trovato dei pessimi Indiana Jones o forse solo gente che andava troppo di fretta.»
«Io non…» Qualunque risposta volò fuori dalle finestra, accompagnata da un coro di gemiti e urla da fare invidia al Metropolitan, mentre alla festa delle dita si unì anche la bocca di Hunter.
Non era certo sarebbe sopravvissuto a quella scopata, ma che fosse dannato se si sarebbe perso anche un solo secondo.
Il Nirvana, il Messia, Buddha, Jesus Christ Superstar, alcune ore dopo avrebbe scommesso di aver visitato ognuno di quei posti e aver incontrato creature luccicanti e divine.
Capitolo 6
Dopo che Ian aveva raggiunto l’ennesimo orgasmo, si era addormentato e Hunter era rimasto a guardarlo. Era stato dentro di lui, in profondità, e lo aveva scopato in ogni genere di posizione. Sentiva ancora le labbra bruciare, i muscoli tesi da una piacevole sensazione di pesantezza. Gli faceva male tutto, ma era un dolore piacevole e soddisfacente.
Alla fine Ian lo aveva pregato di smettere di stimolargli la prostata. Sorrise al pensiero. L’aveva tanto cercata e lui gli aveva fatto scoprire le gioie che quella ghiandola sapeva regalare. Ci aveva giocato per tutta la notte, con le dita, con il suo cazzo.
Dio, come era stato bello essere avvolto dal suo calore. Per un lungo momento, prima di muoversi dentro Ian, aveva serrato gli occhi per non scoppiare a piangere. Era travolto non solo dalle sensazioni fisiche, c’era dell’altro e non sapeva proprio come gestire le emozioni.
Spostò gli occhi verso la finestra, fuori era ancora buio, mentre accarezzava la pelle calda e morbida di Ian, sdraiato al suo fianco. Avevano gambe e braccia intrecciate, nella più romantica delle posizioni post orgasmiche. Risalì con le dita dal fianco al braccio, arrivando alla curva decisa della mascella e a quella sinuosa dell’orecchio. Gli accarezzò i capelli castani con dolcezza e assorbì con lo sguardo ogni più piccolo particolare, dalle ciglia lunghe, al neo a forma di cuore all’angolo dell’occhio sinistro. Aveva una piccola cicatrice tra il naso e la bocca, e quell’accenno di barba mattutina sulle guance.
Ancora pochi minuti e avrebbe dovuto rinunciare a quel contatto per sempre. All’alba, quando il sole fosse comparso all’orizzonte, il suo corpo avrebbe perso consistenza.
La magra consolazione era il potergli parlare ancora, vederlo e magari essergli amico. Avrebbe visto Ian vivere la sua vita, innamorarsi magari, avere una famiglia e trasferirsi in periferia con un gatto e un cane.
Sarebbe stato uno spettatore col cuore spezzato e con il corpo trasparente, destinato a osservare la felicità altrui senza mai poterla assaporare davvero.
Quello che aveva fatto lo avrebbe tormentato per il resto dell’esistenza? Quella era forse una punizione e non un miracolo?
Hunter non aveva pensato alle conseguenze, non aveva pensato al dopo. Adesso che aveva avuto Ian, non era in grado di separarsi da lui. Il semplice fatto di doversi allontanare era già straziante.
Deglutì il groppo che aveva in gola e rabbrividì. Chiuse gli occhi mentre il gelo iniziava a serpeggiargli sulle caviglie.
É troppo presto, avrebbe voluto urlare. Ancora un attimo, per favore.
La mano di Ian gli si chiuse con dolcezza intorno al polso, voltò il viso per baciargli il palmo della mano, poi aprì i suoi splendidi occhi e sorrise.
Prima che fosse troppo tardi Hunter si avvicinò, posandogli un bacio possessivo, ma delicato, sulle labbra. Infilò la lingua nella sua bocca e gemette, spingendosi contro di lui per combattere il freddo che gli gelava quel corpo pronto per essere trascinato nel mondo dei morti.
Lo baciò fino a quando il freddo lo avvolse completamente e si allontanò per ringraziarlo di avergli fatto capire quanto la vita fosse bella e come lui l’avesse sprecata. Un timido raggio di sole illuminò la stanza e spostò lo sguardo, guardando quella luce come se fosse un nemico.
«Hunter?» domandò Ian, preoccupato.
Tornò a guardarlo e aggrottò le sopracciglia. Lo sentiva. Cazzo, sentiva il suo calore. Percepiva distintamente il peso della gamba di Ian sulla propria, la mano sul petto. Lo sentiva, porca puttana.
«Perché riesco a toccarti?» Chiese, spaventato da quell’assurdo cambio di prospettiva. Come a volersene accertare, gli prese il viso tra le mani e strusciò il naso contro la sua guancia.
Ian deglutì sonoramente e gli posò la mano sul cuore, nel vano tentativo di controllargli le pulsazioni. Non c’erano. Hunter non sentiva più il dolore del sesso, non aveva sonno e neanche appetito. Era tornato ad essere un fantasma, ma poteva toccare Ian. «Come è possibile?» Chiese ancora, alzando lo sguardo per cercare la risposta negli occhi dell’altro.
Ian sbatté le palpebre e boccheggiò. «Dovrei saperlo? Perché mi sento sotto pressione se mi guardi così. Mi sembra di tornare a scuola, quando la professoressa mi faceva una domanda e sperava di sentire qualcosa di intelligente. Non è mai successo.»
Nonostante il momento, Hunter scoppiò a ridere e lo baciò di nuovo, sovrastandolo con il proprio corpo, costringendolo contro il materasso.
Oh, anche lì sotto sentiva qualcosa.
Cazzo, stava avendo un’erezione?
Ian si staccò per riprendere fiato e aprì le gambe, invitandolo a sdraiarsi completamente su di lui. «Sembra che la questione “sono un fantasma, ma posso toccare Ian” sia passata in secondo piano,» mormorò, afferrandogli il culo e stringendo le natiche.
Hunter increspò la fronte e lo guardò sorpreso. «Davvero questa situazione non ti crea nessun problema? Hai scopato, e scoperai di nuovo, con un morto. Non sappiamo neanche perché e come diamine sia possibile.»
Ian arricciò le labbra. «Anche se avessimo una risposta, cosa cambierebbe?»
Hunter non trovò nessuna replica a quella domanda.
«E ti prego non definirti morto, sei un fantasma. Scopare e morto nella stessa frase mi fa sembrare un necrofilo.»
«Lo sei, in un certo senso,» ridacchiò, iniziando a dondolare.
L’erezione di Ian ebbe uno spasmo. «Gesù, che schifo. Mi fai passare la voglia.»
Le labbra di Hunter si piegarono in un sorriso malizioso. «Che bugiardo,» mormorò, muovendosi languidamente contro di lui. Le erezioni che si indurivano una contro l’altra.
«Credo che la tua missione da Indiana Jones non sia ancora finita. Magari quella di ieri è stata solo fortuna,» lo provocò, agganciandogli le caviglie alle gambe e alzando il bacino.
«Non c’è bisogno di girarci intorno. Vuoi un altro orgasmo prostatico, vero?»
Ian si morse il labbro inferiore e alzò un sopracciglio, guardandolo maliziosamente.
«Sarai accontentato, perché si dà il caso che farei di tutto per quel bel faccino.» Hunter invertì le posizioni e Ian aprì le gambe, posizionandosi proprio sopra al suo inguine. Socchiuse le labbra e, puntellandosi con le braccia sul petto, alzò i fianchi. Hunter tastò il letto alla ricerca del lubrificante e se ne versò una generosa dose sul palmo, bagnandosi l’erezione.
«Sei decisamente in forma per essere un fantasma,» ansimò Ian, guardandolo massaggiarsi. «Quanti cuori hai infranto da vivo?»
Hunter spostò le mani, toccando l’anello di muscoli dell’entrata e ci spinse dentro un dito. «Qualcuno, ma nessuno era come te.»
Il compagno buttò la testa all’indietro, gemendo per l’intrusione e chiuse gli occhi. «Questa è proprio una battuta scontata.»
«Ma è la verità,» gli rispose, indirizzando la punta e spingendosi dentro di lui. Ian lo aiutò, abbassandosi lentamente, sul suo viso i segni del piacere che lottavano con il dolore.
Era più facile della sera precedente, il suo cazzo stava scivolando, avvolto dalla pressione dei muscoli. Avevano fatto l’amore così tante volte che Ian lo accolse come se fosse la cosa più naturale del mondo. Si domandò se non fosse troppo da sopportare, doveva essere ancora indolenzito.
«Stai bene?» domandò deglutendo, quando fu completamente dentro.
Ian aveva ancora gli occhi chiusi e la testa reclinata all’indietro. «Mai stato meglio,» sospirò, guardandolo attraverso le palpebre abbassate. «Voglio cavalcarti,» disse muovendosi per prendere posizione. Quando trovò la giusta angolazione, gemette a voce alta e si dondolò lentamente.
«Adesso che hai trovato la prostata è diventata la tua migliore amica. Mi stai usando per masturbarti,» finse di rimproverarlo, afferrandogli i fianchi per aggrapparsi, ma non per stabilire il ritmo.
«La cosa non sembra dispiacerti affatto,» gli rispose l’altro con un attimo di ritardo, forse troppo preso dalle sensazioni che stava provando.
«Neanche un po’.» Hunter piegò le ginocchia e Ian sobbalzò, rabbrividendo e aumentando il ritmo. Continuava a scendere e a salire, facendo cozzare i loro bacini, in una melodia così erotica da fargli girare la testa.
La sera prima, si era prodigato a toccare ogni singolo centimetro della pelle di Ian, lo aveva venerato e soddisfatto più per piacere personale che per altruismo. Certo, aveva sempre avuto dei riguardi per i suoi partner di letto, gli piaceva il raggiungimento reciproco dell’orgasmo. Con Ian, però, era necessario che provasse piacere. Avrebbe rinunciato al proprio pur di vederlo nel momento dell’apice. Avrebbe passato l’eternità a sentirlo stringersi contro di lui, ad avere le unghie conficcate nella schiena e sul torace. Era bellissimo, da togliere il fiato. Non si trattava solo di estetica, era il complesso a renderlo così meraviglioso. Aveva la battuta pronta, la testa sempre altrove, l’intelligenza spiccata e quel tratto d’innocenza che riaffiorava solo in pochissime occasioni.
Hunter avrebbe davvero voluto conoscerlo da vivo, averlo nel proprio letto come amante, migliore amico, confidente, compagno.
Mentre Ian iniziava a muoversi con difficoltà, gli circondò i fianchi e si raddrizzò. Il movimento colpì di nuovo la prostata e l’amante gli strinse le dita sulle spalle, spingendo il viso in avanti per soffocare il grido con un bacio bagnato.
In quella posizione potevano muoversi l’uno contro l’altro e stimolare l’erezione di Ian, incastrata tra i loro corpi. Rimasero con le bocche socchiuse e vicine, rubandosi e restituendo ogni singolo respiro affannato.
«Hunter,» ansimò l’altro, tremando per trattenere l’orgasmo e stringendo i muscoli contro la sua erezione.
«Sono qui,» gli rispose con dolcezza, abbracciandolo e aumentando le spinte.
Vennero a distanza di pochi secondi l’uno dall’altro, in un intreccio di gambe, braccia e filamenti di sperma, mentre il sole illuminava completamente la stanza.
Capitolo 7
«Ci vediamo dopo,» sussurrò languido, spingendo il viso in avanti e bloccandosi all’occhiata perplessa della vicina di casa. Merda. Non si sarebbe mai abituato a quella dannatissima cosa del fantasma, porca vacca.
La risatina divertita di Hunter lo distrasse abbastanza da dimenticare l’impicciona e rivolgergli una linguaccia.
«E’ colpa tua,» lo accusò per gioco, afferrando la maniglia e chiudendo la porta.
«A più tardi, pazzerello mio.» Quello sciocco nomignolo gli era rimasto addosso ed ora il suo compagno non faceva altro che ripeterlo in ogni situazione.
Scosse la testa e decise di scendere le scale, un po’ di esercizio fisico non gli avrebbe di sicuro fatto male visto quanto si stava arrotondando sui fianchi.
Hunter sosteneva non fosse vero, ma cosa poteva saperne un fantasma di quello che si provava a guardarsi allo specchio e vedersi ingrassati?
«Tanto non gli interessa del mio aspetto.» Eppure per Ian aveva sempre contato.
Aprì il portone e chiuse gli occhi al gelido vento invernale. La notte precedente la neve si era depositata, spessa e candida, su tutta la città e quel paesaggio da favola gli strappò un sorriso.
Natale, presto sarebbe stato il momento di addobbare casa in perfetto stile Las Vegas e abbuffarsi fino al collasso.
Amava le feste, i regali, il ritrovarsi con i familiari. L’ultimo pensiero lo costrinse a fermarsi sui propri passi solo per trovarsi catapultato in avanti poco dopo, spinto da un passante di fretta.
«Guarda dove vai,» lo rimproverò quest’ultimo con la voce ovattata dalla spessa sciarpa che gli fasciava il viso.
«Io? Ma dici sul serio?» Lui non aveva nessuna sciarpa a fermare il tono troppo alto per quel paesaggio ancora addormentato, ma l’unica risposta che ottenne fu un dito medio avvolto nella lana. «Spero che ti si geli il culo, stronzo.»
Non era proprio il giorno di Natale e lui non doveva nessuno spirito di bontà a un elfo irrispettoso, quindi fanculo. Incrociò le braccia al petto, pestò il piede sulla neve e sbuffò una nuvoletta candida che riuscì a strappargli un sorriso, prima che il pensiero della festività si insinuasse di nuovo nel suo cervello.
Come avrebbe fatto con la famiglia? E con Hunter? Non poteva portarlo con sé, non poteva abbracciarlo o baciarlo davanti agli altri senza sembrare un pazzo fuori di testa che amoreggiava con l’aria.
Sospirò ancora, ma questa volta nessuna nuvoletta gli restituì il buonumore di poco prima.
Niente lo avrebbe tenuto lontano dal compagno e dal loro primo Natale insieme. La sua famiglia sarebbe sopravvissuta e lui avrebbe passato le migliori feste di sempre.
Uscire era qualcosa di sopravvalutato, lo aveva sempre saputo. Hunter e la loro storia erano più importanti di tutto il resto.
Ma con il passare del tempo, tenere quelle parole a mente divenne sempre più difficile.
I giorni e i mesi si accavallarono, costringendolo a disertare compleanni, anniversari, Pasqua, quattro Luglio, tutti in nome di una storia che, lo doveva ammettere, procedeva a gonfie vele.
Tra lui e Hunter le cose erano magnifiche, sembrava che fossero stati creati per stare insieme e incastrarsi come i pezzi mancanti di un puzzle. Se… C’era questo gigantesco Se a deriderlo ogni volta che doveva declinare un invito o costringersi a non voltarsi in direzione del proprio compagno e rivolgergli una domanda o una battuta scherzosa. Non poteva farlo a meno che non volesse essere portato via con una camicia di forza. Perché quell’uomo meraviglioso non esisteva nel mondo dei vivi.
Hunter era morto e lui no. Ian poteva vederlo, quando nessun altro era in grado di farlo.
Nessuno poteva capire quanto questo lo ferisse. Quanto nascondere il loro amore gli desse la sensazione di sminuirlo.
Non era mai stato il tipo di persona che nascondeva se stesso, eppure da quando frequentava Hunter non poteva fare altro.
Nascondere l’amore che provava, i sorrisi, i lievi tocchi, perché niente sarebbe stato compreso dagli occhi troppo ciechi delle altre persone.
Più i mesi si accumulavano e più tutto questo iniziò a pesare sul suo umore.
Le risate divennero rare e forzate, mentre diventava un maestro nell’evadere le domande.
«Cosa c’è che non va?» Chiedeva spesso il suo compagno, guardandolo con occhi preoccupati.
Brutta giornata, ho dormito male, non mi sento bene, ho litigato con un cliente, gli mancava la scusa del ciclo (e non per poca fantasia, ma per impossibilità effettiva) e avrebbe finito per utilizzarle tutte.
Perché non poteva apprezzare quello che aveva e smetterla con le stronzate?
Desiderava un amante che lo soddisfacesse, un uomo che lo amasse e lo completasse, e lo aveva trovato.
La vita, Dio o chi per lui, gli avevano fatto questa unica grazia e, come il peggiore degli ingrati, non era ancora contento. Cosa poteva volere ancora?
Magari qualcuno che da poter tenere per mano mentre passeggiavano o al quale poter parlare all’orecchio per dire una cosa stupida; un uomo che lo stringesse nelle foto di famiglia e che i suoi genitori potessero abbracciare.
«Perché sono uno stronzo di questa portata? Hunter è l’uomo migliore che potessi incontrare e ancora ho il coraggio di lamentarmi.»
Cominciava a credere che fosse parte della sua natura, che quella perenne insoddisfazione non lo avrebbe mai abbandonato del tutto. Forse faceva parte di quella percentuale di persone che non poteva trovare la felicità, non perché non la volesse, ma perché incapace di accontentarsi.
Sbuffò un’altra volta e guardò l’orologio. Erano le undici di un turno serale di una calda serata di agosto e nessun cliente sembrava in grado di tirarlo fuori dal buco nero in cui si sentiva risucchiare.
Con quale faccia di cazzo poteva rinfacciare all’uomo che amava che il problema era il suo essere incorporeo?
Lo sapeva, cazzo, lo aveva scoperto proprio grazie a lui. Aveva persino ringraziato per quel dono, perché, se voleva dire aver incontrato quell’adone, allora meritava un altare e tutti i candelieri disponibili. E ora? Ora il giochino si era rotto e il fantasma cominciava a stargli troppo stretto, questa era la cruda verità della sua inutile esistenza.
Bravo! Bella merda che sai essere, Ian.
Nemmeno gli auto insulti sembravano aver effetto sul malessere che lo possedeva, purtroppo.
Strofinò per l’ennesima volta il bancone, ormai lucido come una pista da ghiaccio, e si interruppe solo quando il suo capo diede un colpo di tosse.
«Se continui di questo passo, sarò costretto a fornire degli occhiali da sole all’ingresso.»
Rise imbarazzato e si agganciò lo strofinaccio alla tasca posteriore dei jeans.
«Sai che mi piace il mio lavoro.»
«Anche a me piace come lavori, ragazzo, ma sembra che tu abbia la testa da un’altra parte in questo periodo.»
Quell’uomo era un profeta, non aveva altra spiegazione. «Diciamo che ho qualche problema da risolvere?»
«Cuore? Perché quelli sono sempre i più rognosi. Rovinano la vita di un uomo e lo trasformano nel fantasma di se stesso.»
Profeta, lo aveva detto, no? In una sola frase aveva racchiuso l’intero problema senza nemmeno rendersene conto.
Spostò gli occhi sul vecchio flipper che tenevano nell’angolo della sala e tamburellò le dita sulla superficie immacolata. «E’ complicato,» sussurrò, incapace di dire se stesse parlando a sé o al nuovo confidente. «Mi sento un ingrato, eppure…»
«E’ sempre una grande complicazione tutta questa storia delle relazioni,» lo interruppe l’uomo, dandogli una pacca sulla schiena che lo spinse in avanti e lo fece tossire.
Andava bene essere preoccupati e sentirsi uno stronzo, farsi asportare un polmone un po’ meno, ed era quasi certo che un pezzo fosse appena finito sotto il fusto della birra alla spina.
Si massaggiò il petto, perché, diciamocelo, non era carino far vedere quanto quella semplice pacca avesse rischiato di mandarlo all’ospedale, e sogghignò. «Hai proprio ragione.» Cosa doveva dire? Esisteva una risposta corretta che non lo facesse passare per pazzo e non rischiasse di fargli perdere il lavoro?
Sollevò lo sguardo e quello che vide gli tolse il fiato come il colpo appena ricevuto non avrebbe mai potuto fare.
Contro il muro, a braccia incrociate e con un tenerissimo sorriso consapevole sulle labbra, c’era il motivo di ogni suo sorriso e il colpevole del suo tormento.
Hunter.
Capitolo 8
Fall in love, in inglese, significa innamorarsi, ma, letteralmente, la parola fall vuol dire cadere. Mai prima di quel momento aveva provato la sensazione di essere trascinato verso il basso, in un baratro buio e senza via d’uscita. Ah no, l’aveva provata quando era morto, solo che adesso faceva anche un male cane.
Innamorarsi di Ian era stato facile, troppo facile. Ogni giorno pregava di poterlo toccare, che gli occhi dell’altro si agganciassero ai propri. Sapeva che quel limbo in cui stavano vivendo era fittizio, sapeva che sarebbe finita prima o poi.
Quel momento non l’aveva sorpreso, faceva parte di una delle tante situazioni che aveva immaginato, soprattutto nell’ultimo periodo in cui Ian sembrava distante e freddo.
Deglutì e cercò di mantenere il sorriso. «Ci vediamo a casa,» disse prima di svanire in spire di fumo grigio e ricomparire nel loro appartamento.
No, non loro. Quella era casa di Ian e lui ci viveva.
Sbuffò e si massaggiò le sopracciglia. Non era corretto neanche quello. Era morto, cazzo. Non faceva nulla, leggeva ogni tanto, vedeva la tv, guardava la gente dalla finestra. Aveva perfezionato la capacità di toccare gli oggetti, ma non poteva sollevare grandi pesi. Non poteva cucinare, per esempio. Tante volte aveva odiato quella condizione, quando Ian tornava distrutto dal lavoro e preferiva non mangiare perché troppo stanco.
In una situazione normale, avrebbe preso la sua roba e se ne sarebbe andato. Ma non aveva vestiti da infilare in una valigia. Era a tutti gli effetti un cazzo di parassita nella vita dell’uomo che amava.
All’improvviso la porta d’ingresso si aprì, sbattendo contro il muro. Ian era sulla soglia, il respiro affannato e l’espressione preoccupata.
«Non c’era bisogno di tornare di corsa,» disse con un sorriso triste. «Ti avrei aspettato.»
«Non c’era bisogno che sparissi, avremmo potuto tornare insieme.»
Hunter si voltò verso la finestra e fece un piccolo sospiro. «E ritrovarti di nuovo a ignorare le occhiate della gente perché parli da solo? No, non è più il caso.»
Ian deglutì, chiuse la porta dietro di sé e vi si addossò come se non avesse la forza di stare in piedi. «Cosa intendi con non è più il caso?»
«Pensi che non sappia cosa ti sta succedendo?» Chiese con tono calmo. «Ho ignorato i segnali, ma poco fa ho solo ho avuto la conferma di come ti senti. E odio vederti così, perché non sei felice.»
«Posso sopportarlo,» mormorò il compagno, con tono poco convinto. «Se vuol dire averti nella mia vita, posso sopportare tutto.» Deglutì ancora con difficoltà e sussurrò, la voce spezzata e incerta: «Non voglio perderti, Hunter.»
Si limitò a guardarlo per un lungo momento, poi annullò la distanza che li separava e gli prese il volto tra le mani. Chiuse gli occhi, respirando profondamente, più per abitudine che per necessità. «E non succederà mai. Non mi perderai mai, amore. Sarò sempre con te, ma tu devi vivere la tua vita e io sono un peso morto,» disse abbozzando un sorriso, riaprendo gli occhi per guardarlo.
Ian gli chiuse i palmi intorno ai polsi forti e sussultò come se fosse stato schiaffeggiato. «Io non voglio vivere senza di te, non posso nemmeno pensare a cosa vorrebbe dire non vedere più il tuo sorriso, sentire la tua voce, il tuo sapore.» Scosse la testa con forza, la voce piegata dalla disperazione. «Non puoi lasciarmi. Non puoi andartene per sempre.»
Il dolore straziante che gli colpì il petto sembrava insopportabile. Era una lotta contro ciò che era giusto e ciò che voleva veramente. «Questa che stai vivendo non è vita. Non posso portarti al cinema, non posso tenerti per mano, non posso aiutarti finanziariamente, non posso comprarti uno stupido regalo di Natale. E la tua famiglia? Dovrai mentirgli ancora e ancora. I tuoi amici? Lentamente li stai perdendo tutti, e per cosa? Un’esistenza con un fantasma.»
E forse l’unico modo per abbandonarlo del tutto, per permettergli di vivere una vita normale, era quello di ferirlo. «E poi, ammettiamolo, questa cosa non era destinata a durare. Stai con me perché ci so fare a letto e hai finalmente capito dov’era finita la tua prostata. Ti vado bene solo per quello, ormai. Esistono milioni di uomini gay al mondo, troverai qualcun altro.» Sminuire la loro relazione era la cosa più dolorosa che avesse mai dovuto fare, ma non c’era scelta. Era un rammollito e, se Ian avesse continuato a guardarlo in quel modo, sarebbe rimasto. Era meglio bruciare tutto e vedere la delusione e la rabbia negli occhi dell’altro. Così il distacco sarebbe stato più facile.
Hunter percepì sulla propria pelle la ferita che aveva inferto al compagno. Gli occhi di Ian si velarono di lacrime, era terribile vederlo lottare per non lasciarne cadere neanche una. Lo guardò scuotere la testa, serrare la mascella e fare un passo indietro, mettendo distanza tra di loro, come se volesse evitare che Hunter lo ferisse di nuovo. «Quindi stai dicendo che per dieci mesi ti ho trattato come la mia puttana personale. È questo che pensi davvero? Perché non hai bisogno di ferirmi per chiudere con me. Se non mi ami più, se questa storia non ha valore per te, allora puoi andartene, ma non farlo seguendo la strada della vigliaccheria. Non scegliere la via più facile, perché tra di noi non c'è stato niente di semplice tranne l'amore che ci unisce.» Si passò la lingua sulle labbra secche e si asciugò una lacrima sfuggita al suo controllo. «Io ho scelto te, Hunter, tra tutti quei milioni ho scelto te e non per il sesso, ma per tutto quello che ho scoperto dopo, però non posso trattenerti. Sei un fantasma, giusto? Nessuno spirito può essere rinchiuso e io non voglio finire per diventare il tuo carceriere. Sei libero di andartene quando vuoi, ma questo non cambierà quello che provo per te.»
«Se non ti amassi davvero, se la storia con te non avesse avuto il minimo valore per me, allora perché starei facendo tutto questo?» Allungò il braccio, come se indicare la stanza potesse spiegare quello che stava succedendo. «Proprio perché sei l’unica cosa bella che mi sia mai successa, devo lasciarti libero. Non capisci?» domandò con la voce spezzata. «Adesso dici di amarmi, ma cosa succederà quando i dubbi che ti hanno assalito fino a ora diventeranno delle urla nella tua testa? Quando penserai a me come a una maledizione, come qualcosa che non potrà fare altro che farti sentire incompleto e fuori posto, cosa pensi succederà?» Credeva di non poter piangere, ma si sbagliava. Anche i fantasmi versavano lacrime. «Quando sarai tu a lasciarmi, perché non potrai più sopportare l’idea di stare con me, sarò io quello distrutto. La mia felicità finisce e inizia con te, Ian. Tu, invece, hai tutta la vita davanti, persone da incontrare, cazzate da fare, risate da condividere con la tua famiglia. Tu hai tutto e io ho solo te. Se fossi al mio posto, non faresti lo stesso? Non proveresti a ferirmi per mandarmi via? Non preferiresti vedermi felice, anche se non sei tu la ragione?»
Le lacrime rotolarono incontrollate sulle guance del suo bellissimo compagno, mentre cercava in tutti i modi di trattenere il fiato che usciva spezzato dalle labbra socchiuse. Fece un singhiozzo e poi si lanciò tra le sue braccia, stringendolo forte.
Hunter ricambiò immediatamente, accostandosi al suo orecchio, mentre l’altro inalava forte, come a volersi imprimere nella memoria il suo odore.
«Farei la stessa cosa,» sussurrò Ian, con la voce che tremava. «Non riusciremo mai a trovare una soluzione, vero?»
No. Non c’era soluzione a quello. Lui aveva pregato ogni giorno che le cose cambiassero, che lui cambiasse. Avrebbe fatto di tutto, rinascere magari, prendere il posto di qualcun altro. Qualsiasi cosa, pur di restare con Ian. «Ti amo e ti amerò ogni secondo. Ti amerò in questa vita, nella morte e nella prossima strada che mi diranno di prendere.» Gli accarezzò i capelli sul retro del collo e lo strinse più forte. «Promettimi di non dimenticarmi mai. Anche se ti innamorerai di un altro uomo, anche quando lo sposerai e deciderai di fare con lui una famiglia. Ti prego Ian, non dimenticarmi.»
Il suo compagno, l’amore di quella che avrebbe potuto essere la sua vita, lo avvolse tra le braccia, affondò il viso nel suo collo e, con voce spezzata dalle lacrime, disse: «Mai. Lo prometto.»
Hunter socchiuse le labbra per formulare l’ultima frase d’addio, ma il dolore lo colpì in profondità. Una scossa elettrica gli fece vibrare le ossa, il cuore e i polmoni.
Poi cadde.
Venne avvolto dall’oscurità e sentì il pavimento sgretolarsi sotto ai propri piedi. Il silenzio divenne un suono fisso, simile a quando le orecchie sono sottoposte a grande stress. Come dopo l’esplosione di una bomba, un fischio interminabile che sembrava avvolgere tutto.
Cercò di urlare, di muovere le braccia per aggrapparsi a qualsiasi superficie, ma fu tutto inutile. Al suono nelle orecchie si aggiunse l’odore di candeggina, pungente e fastidioso. Gli venne la nausea, gli bruciò il naso.
Fu travolto da centinaia di sensazioni diverse. Prima sgradevoli, poi simili alla tranquillità dopo la tempesta. Pensieri positivi, ricordi dell’estate dei suoi vent’anni, immagini di quando era ancora vivo.
Ricordò all’improvviso di aver avuto un cane da ragazzino. Un Golden Retriver color champagne, di nome Flash. Aveva anche un fratello, ma non ricordava il nome.
All’università aveva venduto la sua auto e, con i soldi guadagnati, aveva acquistato una moto, una Suzuki GSX-R azzurra e nera, che trattava come una bambina da coccolare.
I suoi genitori avevano vissuto separati per un lunghissimo periodo, quando lui andava alle scuole medie. Suo padre aveva avuto una relazione con un’altra donna e sua madre lo aveva perdonato, anni dopo. Vivevano da qualche parte.
Hunter aveva un cognome? Che scuola aveva frequentato? Ricordava delle cose, pezzi di sé che aveva raccontato a Ian, ma adesso gli sembrava tutto sfocato, come se quelli che aveva pensato fossero ricordi, in realtà fossero frutto dell’immaginazione.
All’improvviso, tornò il silenzio. Sentì il freddo formicolargli lungo le dita e il cuore battere.
Prese un lungo respiro e poi aprì gli occhi.
Capitolo 9
Gli avevano assicurato che con il tempo sarebbe andata meglio, che avrebbe imparato a respirare senza avvertire quel peso sul petto, che la vita avrebbe preso una piega diversa e le ferite si sarebbero cicatrizzate.
Erano passati due mesi e lui stava ancora di merda. Non una merda qualsiasi, però, una di quelle in cui sprofondi con tutto il piede e ti ritrovi a imprecare fino a quando non arrivi a casa, oppure non decidi di buttare le scarpe.
Ian si sentiva soffocare in quella melma densa e ogni giorno non faceva altro che essere peggio, quindi non credeva più all’ipotesi del “passerà”. Non sarebbe passato proprio niente, non il dolore e non la malinconia del tocco dell’uomo che amava. Perché amava ancora Hunter come la sera che se n’era andato. Nonostante le valide ipotesi e la realtà che li allontanava, i suoi sentimenti erano sempre gli stessi.
Era vero che aveva provato astio perché doveva scegliere tra la propria vita e il compagno, ma, a distanza di tempo, si era reso conto di quanto quel bilancio fosse vano. Con Hunter era felice, senza di lui si sentiva solo un miserabile. Anche un coglione. Perché era stato proprio lui ad allontanarlo e a fargli credere di ostacolare in qualche modo la sua vita.
Passò il panno sul bancone, asciugò la condensa formata dal bicchiere e sospirò. Era di nuovo Halloween, tuttavia quella sera sarebbe stata molto diversa da quella vissuta l’anno precedente. Con Hunter.
Avrebbe mai smesso di pensare a lui? No, non lo credeva possibile, anche i sogni non facevano altro che confermarglielo.
Ogni notte sognava quel viso spigoloso e quegli occhi brillanti; sognava loro due insieme in un grande campo di zucche. Sorrise a quelle piccola simbologia e si passò le dita sulla maglietta scura che celava il ciondolo comprato il giorno che il compagno lo aveva lasciato. Quel dannatissimo pomeriggio lo aveva visto in un negozio e non aveva potuto resistere alla tentazione di comprarne due uguali. Due piccole zucche d’argento, simbolo del loro primo incontro e dell’inizio della loro storia. Conservava la seconda, quella che non aveva mai avuto la possibilità di consegnarli, nella tasca dei propri jeans e non se ne separava mai. Quel peso lo confortava, gli faceva sentire la presenza di Hunter accanto a sé.
«Pensi che la serata avrà successo?» Chiese il suo capo, sporgendo la testa dal retro e sorridendo.
«E’ Halloween,» rispose come se quello spiegasse tutto. «Le persone vagano in cerca di alcool e compagnia. Certo che avrà successo.» Si sarebbe augurato il contrario per non dover sopportare il frastuono, ma quello lo avrebbe distratto. Il lavoro era stata la sua ancora di salvezza in quei mesi solitari.
«Da cosa ti sei mascherato?» Domandò ancora l’uomo, guardando perplesso i jeans neri e la maglietta dello stesso colore con una striscia arancione.
«Jack O’Lantern,» disse con voce appena strozzata. Il costume era diverso da quello dell’anno precedente, ma il soggetto lo stesso. Ancora una volta un ricordo da portare con sé senza il coraggio di lasciarlo andare.
L’uomo gli rivolse un’occhiata poco convinta e si ritirò, deciso, probabilmente, a lasciarlo perdere. Chiunque avrebbe preferito evitarlo in quel periodo. Anche lui si sarebbe evitato, potendolo fare, cazzo.
Tre ore dopo, assorbito dalla cacofonia e dal chiacchiericcio della gente, avvertì la tensione alle spalle farsi meno intensa. Sapeva che era solo una sensazione passeggera, ma se la sarebbe goduta fino in fondo alla serata.
«Posso avere una Guinness?» La semplice voce bastò a farlo trasalire e mollare il bicchiere che stava reggendo tra le mani.
Quel tono… Non era possibile.
Si voltò come un automa e si scontrò con un viso spigoloso e due occhi che conosceva fin troppo bene.
«Come cazzo è possibile?» mormorò, aggrappandosi al bancone, cercando di solcare il legno con le unghie corte mentre il mondo girava e si restringeva intorno a lui.
Sbatté le palpebre e, quando una lacrima sfuggì al suo controllo, si rese conto che l’uomo non era più lì.
Adesso aveva anche le visioni?
«Pazzerello, lascia che ti spieghi.» Di nuovo quella voce, ma più vicino questa volta, alle proprie spalle.
Si voltò con lentezza, convinto che sarebbe svenuto, e si trovò davanti Hunter in tutta la sua meravigliosa gloria.
«Sto sognando?» Chiese con la voce roca e piegata dal pianto.
«Possiamo parlare?»
«Non lo stiamo già facendo?»
«In privato,» precisò il suo compagno con gli occhi lucidi e le labbra tirare in un’espressione severa.
Ian annuì, dimentico delle persone intorno a lui, dei clienti e di tutto quello che non fosse l’uomo che gli era mancato più dell’aria che respirava. Se gli avesse concesso un’altra occasione, tutto il resto non avrebbe avuto importanza. Lo rivoleva con sé, voleva tornare a sentirsi vivo e felice come quando stavano insieme. Ne aveva bisogno.
Strinse gli occhi quando vide Hunter sbattere contro un avventore appena entrato e sorridergli in segno di scusa. Era Halloween dopotutto e, proprio come l’anno precedente, il compagno assumeva consistenza umana, quindi non c’era niente di diverso. Niente era cambiato tranne lui e quello di cui aveva preso coscienza.
«Cosa ci fai qui? Sei tornato per restare?» Le domande uscirono come un fiume in piena, appena si fermarono nell’angolo più lontano del locale.
Hunter lo guardò dalla testa ai piedi, facendolo rabbrividire, e sorrise. «Ci sono alcune cose che ti devo spiegare.»
Alzò una mano e gli posò due dita sulle labbra, scuotendo la testa. «Non mi interessa niente. Voglio che tu faccia parte della mia vita, fantasma o meno. Non mi importa di quello a cui devo rinunciare, del fatto di parlare da solo o di non poterti presentare ai miei genitori.» La sua voce si fece sempre più disperata e le mani salirono a stringere i baveri della giacca di pelle. «Non posso stare senza di te. Questi mesi sono stati un vero inferno. Non lasciarmi Hunter, ti prego.»
Le lacrime che gli rigavano le guance vennero fermate dai pollici del compagno che gli avvolse il viso nei palmi e posò la fronte contro la sua.
«Devi ascoltarmi, pazzerello mio. Respira e ascoltami un secondo.»
«Perché indossi una giacca di pelle?» Chiese con la fronte aggrottata, facendo scorrere i pollici su quel tessuto spesso al quale era poco abituato. Da quando si erano conosciuti lo aveva sempre visto vestito elegante. Hunter non poteva cambiare abiti. «Cosa sta succedendo?»
«Sono fatto di carne e ossa.»
«Sì, lo eri anche l’anno scorso in questa notte.»
«No, non capisci.» Il compagno scosse la testa e strinse la presa intorno alle sue guance, obbligandolo a guardarlo negli occhi. «Mi sono svegliato e sono vivo.»
Ian spalancò gli occhi e aggrottò ancora di più la fronte. «Non sei più uno spirito? Sei passato a un livello superiore?» Cosa ne sapeva lui di come funzionava il mondo soprannaturale? Forse avevano delle gerarchie e adesso Hunter era un imperatore, un generale o un comandante e questo gli permetteva di fare come voleva e scegliere cosa essere.
«No, ascoltami. Ero in coma, Ian. Ero vestito elegante perché stavo andando a un matrimonio con la mia moto, quando ho avuto l’incidente. Mi sono svegliato la sera che ti ho lasciato.»
Se gli occhi avessero potuto uscire dalle orbite, i suoi avrebbero penzolato e poi si sarebbero lasciati cadere sul pavimento con un rimbalzo.
«Cosa vuol dire?»
Hunter deglutì, allentò la stretta e gli accarezzò le guance con i pollici. «Che quella che ho avuto è stata un’esperienza extracorporea. Ricordavo tutto della nostra storia e di quello che ci siamo detti, appena ho avuto la possibilità di farlo sono venuto a cercarti.»
«La notte di Halloween?» Sembrava comico, eppure una parte di lui sentiva che era vero. Forse voleva che lo fosse, ma non gliene importava niente.
Pensava di non avere una prostata e poi aveva scoperto che non era così. Aveva fatto il miglior sesso di sempre con uno spirito che si era rivelato un non spirito. Si era innamorato per la prima volta nella vita e ora quell’uomo meraviglioso era davanti a lui a dirgli che potevano stare insieme perché era umano. Umano davvero, con tutta la carne e tutte le ossa al posto giusto.
Gli saltò la collo e schiacciò le labbra contro quelle del compagno, pretendendo un accesso che non gli venne negato e che lo riportò subito in quel luogo di sogno in cui aveva vissuto per dieci mesi. Il sapore di Hunter esplose dentro di lui, sulle sue papille gustative, nel cervello, nel sangue e nel cuore che prese a battere con forza contro la cassa toracica.
«Sei qui per restare, quindi?» Lo chiese per sicurezza, anche se il sorriso che ricevette in risposta avrebbe già potuto metterlo a tacere.
«Non vorrei essere in nessun altro posto. Ho contato ogni secondo da quando ho riaperto gli occhi e non vedevo l’ora di tornare da te e dirti quello che era successo.»
«Oddio, non ci posso credere.» Rise e pianse insieme, nascondendo il viso nel collo dell’uomo che amava e stringendosi a lui. «Ti amo.»
«Ti amo anche io e vorrei ci fosse un modo per dimostrarti quanto. Avrei voluto avere con me qualcosa che mi facesse sentire la tua presenza.»
Si allontanò da lui con un sorriso enorme sul viso e infilò la mano nella tasca dei jeans. «Ho io quello che fa per te.» Gli allacciò la piccola zucca d’argento intorno al collo e, quando estrasse la propria, entrambi scoppiarono a ridere.
«Non potevi trovare niente di più azzeccato per noi due.»
«Halloween ha fatto la sua magia, mi ha regalato uno strano fantasma personale.»
«Molto personale, pazzerello mio.» Hunter chinò il viso e si fermò a un soffio dalle sue labbra. «Lo sapevi che un fantasma è per sempre?»
Ian rise e incollò le labbra alle sue. In barba ai diamanti, lui avrebbe sempre scelto il proprio compagno.
F.N Fiorescato
2° Racconto
LEGGENDA INDIANA
Questa è una leggenda in cui si narra che, nella notte di Ognissanti, un lungo ululato risuoni nei boschi, e che se qualcuno si trova in difficoltà possa trovare rifugio in una grande grotta nascosta alla vista da un arcobaleno di leggera nebbia iridescente
Mia nonna è l'ultima discendente della tribù degli Iroche , è incaricata di mantenere viva la tradizione e la storia della sua gente, ecco perché ogni anno il trentuno ottobre, nella notte di Ognissanti, mi racconta la storia di Victoria, la ragazza Camaleonte ed Ephram l'uomo lupo.
Con il loro amore sono sopravvissuti alla morte, con il loro amore hanno preservato la vita.
Oggi sono qui con voi, perché questa storia non si perda con me.
Il fiato mi bruciava nei polmoni, le gambe mi tremavano dallo sforzo per la corsa prolungata, non potevo rallentare, dovevo arrivare al più presto alla grotta, era troppo importante per le mie sorelle, dovevo nascondermi, non potevo permettergli di arrivare a noi.
Riuscivo a percepire il rumore dei suoi respiri, si stava avvicinando sempre di più, mi aveva quasi raggiunta non potevo più aspettare dovevo fare qualcosa.
Scivolai dietro un grosso masso, mi nascosi e iniziai la mutazione.
Potevo cambiare il mio aspetto e trasformarmi in qualsiasi essere vivente o potevo mimetizzare la mia figura, farla sembrare parte della natura circostante, come un camaleonte sfruttavo lo scenario, non venivo percepita neppure dagli animali, di solito così sensibili agli odori. Quando stamattina avevo informato le mie sorelle sull'intenzione di andare alla festa mascherata che tutti gli anni veniva allestita in paese per la festa di Ognissanti, mi avevano messa in guardia ma non volevo credere che potesse essere così pericoloso, chi poteva scovarci in questo sperduto paesino tra le nevi dell'Alaska.
E invece eccomi qui, nascosta dietro un masso a dover far ricorso alla mia magia per evitare di venir presa da lui, da un demone.
Noi Camaleonti siamo ormai un esiguo gruppo, siamo considerate rare e preziose perché il nostro potere può essere assorbito per un breve periodo dal maschio che si accoppia con noi.
Sinceramente voglio essere io a decidere con chi e a chi dare un po' del mio potere, quindi ora spero che quel lurido demone mi superi e non si accorga di me.
Ma figuriamoci se mi poteva andare di culo per una volta, volevo solo farmi un giro per la fiera.
Chi mi stava seguendo non era solo un demone, era anche uno dei più brutti e spietati nel panorama degli inferi.
Avevo tutti i sensi in allerta, ero concentrata a mantenere la mia figura schermata, il freddo della neve non aiutava la mia mente a rimanere lucida e reattiva.
Ero l'unica mutante a non sopportare il freddo, io amavo il caldo, le spiagge e il mare, prendere il sole, adoravo i miei bikini striminziti e colorati, il mio fisico allenato mi permetteva di indossarne certi che avrebbero fatto arrossire anche un demone del sesso...e io ne conoscevo più di uno!
"Cazzo che freddo"
Rimanere concentrata con il gelo che mi penetra sottopelle non è facile.
Sento lo scricchiolio dei suoi passi sulla neve, si sta avvicinando sempre di più, l'odore nauseabondo che fuoriesce dalla sua bocca mi fa scorrere una goccia di sudore lungo la schiena, sono sfinita!
Le sue pupille sono fisse nelle mie, o almeno così io vedo, lui scorge solo il gigantesco masso dietro cui ero accucciata.
La mia magia reggeva nonostante il forte stress a cui ero sottoposta.
Lentamente sfilai il lungo stiletto che tenevo sempre infilato negli anfibi, lo impugna saldamente e lasciai andare la schermatura, nel momento esatto in cui i suoi occhi mi individuarono il mio polso scattò e dal suo collo sgorgò sangue e l'ultimo respiro.
"Sayonara stupido!"
Odiavo porre fine ad una vita, anche se questa apparteneva a un essere ripugnante come questo, per me era solo sopravvivenza.
La mia natura mi aveva condotta ad una vita solitaria, fuggivo gli scontri e evitavo le dure leggi del mio gruppo, eravamo una famiglia certo, ma non volevo sottostare alle loro regole.
Ovviamente c'erano i pro e i contro, come in questo schifosissimo caso.
Il corpo del demone iniziava a liquefarsi, era uno schifo maleodorante, l'unica nota positiva era che non dovevo occuparmi del corpo come invece capitava con gli umani.
Non che io andassi in giro ad ammazzare questo o quello, però mi ero dovuta difendere in parecchie occasioni nei miei cento anni.
Lo so cosa state pensando, ma no, io non sono vecchia!
Per voi umani sono poco più che una trentenne, figa e pericolosa.
Quindi in ogni epoca ho trovato quello che si credeva in diritto di sbattermi a suo piacimento, mi dispiace deludervi, io mi sbatto voi!
L'unico che ha fatto breccia in quello che potrei definire cuore, è stato Ephram, quel figlio di puttana di un licantropo ha mandato in pappa i miei ormoni e ogni volta che le nostre strade s'incrociano ci scappa sempre una scopata da ululato, sì, mi fa ululare! Purtroppo siamo sentimentalmente incompatibili, lui è per natura monogamo, io sono una solitaria, amo viaggiare e fare nuove esperienze, in più la sua possessività mi spaventa.
Riprendo la mia strada lasciandomi alle spalle la pozza di liquami fumanti, devo raggiungere la grotta che cela il passaggio agli inferi, la mia famiglia mi aspetta per una riunione, il messaggio che mi hanno mandato era chiaro, "muovi il culo e presentati a casa", come potevo dire di no ad un così caldo invito?
L'ingresso della grotta era nascosto e ben celato agli occhi umani, la mia mano toccò istintivamente lo sperone di roccia che cedette alla pressione, il varco si aprì.
Aria calda e umida mi avvolse come una seconda pelle, percorsi il lungo corridoio semibuio, che portava alla casa che mi ha vista bambina, potevo sentire il vociare concitato delle mie sorelle, sorrisi, era sempre bello tornare a casa, ogni qualvolta il mio clan si riuniva era un'esplosione di grida ed abbracci, anche nei momenti più tragici trovavamo la forza di andare avanti facendo conto una sull'altra.
Arrivai all'ingresso e mi fermai ad osservare le donne bellissime che chiacchieravano concitate. La grande sala aveva le pareti color porpora, era tutta arredata con stucchi dorati e illuminata da mille candele, un grande tavolo rotondo con dieci sedie troneggiava al centro della stanza dall'alto soffitto.
Era d'obbligo che si indossasse un abito candido durante le riunioni del clan, nessuna poteva trasgredire.
La nostra caratteristica principale era la bellezza, non un difetto fisico, nessuna imperfezione ci scalfiva, ecco perché qualsiasi essere di sesso maschile era attratto da noi.
Usavamo gli uomini per procreare, e da noi nascevano solo femmine, il maschio poi, una volta svolto il suo compito, magicamente spariva nel nulla, venivamo definite delle mantidi religiose.
Anche per questo tenevo Ephram lontano dal mio cuore.
"Ehi belle signore, che si dice?"
"Victoria "
Un coro di voci urlò il mio nome e un mare di braccia mi cinse in un cerchio protettivo.
L'unica che rimase distante, in un freddo e distaccato silenzio fu Kenae, la mia consorella dalla pelle color mogano, un passato di gelosie per chi era la discendente al comando segnava la nostra conoscenza.
La osservai e notai il ventre leggermente arrotondato, si accorse del mio sguardo indagatore e con gesto protettivo si passò una mano sulla pancia, mi feci largo tra le ragazze e l'avvicinai.
"Ciao Kenae, ti trovo bene, vedo che hai scelto il tuo maschio, che fine gli hai fatto fare?"
"Stronza come sempre Victoria, è un piacere vedere che sei ancora viva, anche se.."
"Anche se, cosa? Parla pure, non temere, non picchierei mai una in dolce attesa, nemmeno una carogna come te!"
"Ragazze non iniziate, su dai sediamoci, così la riunione può iniziare".
Prendemmo posto, e Calista, la più anziana delle sorelle consegnò due cristalli ad ognuna di noi, uno nero e l’altro rosa, servivano a schermare i nostri pensieri, perché nessuno al di fuori della grotta e in possesso di magia nera potesse captarne alcuno.
Solo in quel momento notai la sedia vuota, Debra, dov'era finita? Nessuna avrebbe osato saltare una riunione.
Una volta seduta Calista prese la parola.
"Sorelle, mai come in questo momento c'è bisogno che si stia unite, un mio informatore mi ha riportato la voce che circola persistente negli inferi, ovvero, ogni capo clan vuole rinforzare i suoi poteri costringendo una mutaforma a cederli. Dobbiamo tenere gli occhi aperti e stare attente, non fidatevi di nessuno, come molte di voi sapranno la nostra amata sorella Debra è sparita nel nulla, l'ultima ad averla vista è stata Kenae. Parla tesoro, raccontaci cosa è successo quel giorno."
Kenae si alzò dalla sedia, prese fiato e fissò lo sguardo su di un punto lontano, doveva rievocare ricordi dolorosi, chiuse gli occhi.
"Ero appena scesa dalla macchina, ero vicino al lago, avevo voglia di fare una passeggiata, l’aria pungente mi portava gli odori di sottobosco, iniziai a camminare, volevo arrivare al piccolo molo per sedermi al sole, quando sentii indistintamente un ruggito seguito subito dopo da un urlo. Ho corso nella direzione da cui proveniva il grido, giusto in tempo per vedere un bestione enorme colpire alla tempia una donna e trascinarla per i capelli. Era Debra. L'ha caricata in macchina come un sacco ed è partito. Giuro, non ho fatto in tempo a raggiungerla."
Crollò sulla sedia e scoppiò in un pianto disperato, conoscevo Debra, era una bravissima ragazza, sempre sorridente ed accomodante, andava d'accordo con tutte, una forte amicizia la legava a Kenae, capivo benissimo lo strazio nel perdere una cara amica.
Mormorii e singhiozzi di paura serpeggiavano intorno al tavolo, ero sconvolta, capivo solo ora l'ammonimento di Calista, aveva paura per me, ero l'unica del gruppo che non manteneva contatti giornalieri con nessuna di loro. Ci tenevo alla mia indipendenza ed ero un'esperta combattente, viaggiavo sempre armata e non avevo paura di sporcarmi le mani.
Mi alzai in piedi ribaltando la sedia, tutte le teste si voltarono a guardarmi stupite.
"Dobbiamo trovarla! Chiediamo aiuto a tutti i nostri amici e contatti, non possiamo abbandonarla, lei non lo farebbe. Io stessa sono stata aggredita e inseguita, mentre venivo qui, l'esito è stato a mio favore ma non sarà così per sempre, dobbiamo anticipare le loro mosse."
Mi girai a guardare Kenae, aveva lacrime che le rigavano le guance, annuii e a sua volta si alzò.
" Ha ragione Victoria, dobbiamo fare qualcosa, non possiamo aspettare inermi il gioco malsano di quei bastardi, rivoglio la mia amica. "
Avevo appena stretto una strana alleanza, la mia peggior amica era quella che doveva guardarmi le spalle, sarebbe stata una bella scommessa!
Sciolta la riunione mi rintanai nella camera a me destinata, ognuna di noi aveva a disposizione una stanza ben arredata, tutti i comfort e gli agi possibili, purché si restasse in famiglia.
Mi spogliai e mi infilai in doccia, ripensai alla mia scelta di stare sola, le altre mie sorelle abitavano tutte sotto lo stesso tetto, grandi investimenti finanziari ci rendevano la vita facile a livello economico, ci pensava Calista a questo, ma ognuna aveva il suo lavoro, io ad esempio sono una veterinaria, così avevo conosciuto Ephram. L’avevano trovato di notte, incosciente sul ciglio della strada in una pozza di sangue, credendolo un grosso lupo me l'avevano portato in studio, avevo riconosciuto subito il licantropo, ovviamente avevo taciuto. L'ho curato e rimesso in piedi, dapprima mi ha guardata con gli occhioni ambra sospettosi, poi, una volta ritornato alle sembianze umane, mi ha ringraziata più e più volte, non so se mi spiego! Avevo bisogno di lui, era un favoloso cacciatore, sapeva fiutare un odore a chilometri di distanza, in più lui sapeva quanto odiassi essere costretta ad accettare la compagnia forzata di qualcuno, mi serviva urgentemente, dovevo mettermi in contatto con lui!
Consultai la rubrica del cellulare, evidenziai il suo numero e premetti invio.
Uno squillo, due squilli, tre squilli.
"Pronto!" Oh mio Dio, la sua voce era lava bollente nelle mie vene.
"Ephram ho bisogno di te" senza preamboli, dritta al punto.
"Ehi Vic, che bello sentirti, anch'io sto bene grazie per l'interessamento!" Mi passai la mano sul viso esasperata, con lui era sempre così.
"Ciao Ephram, come stai? Hai finito con le cazzate? Sono seria, ho veramente bisogno del tuo aiuto!"
Sarà stata la preoccupazione intrisa nella mia voce o l’inconsueta richiesta di aiuto, ma sentii dall'altro capo del telefono la sua attenzione.
"Cosa succede? Di cosa hai bisogno?"
Non sapevo bene da dove iniziare a raccontare, presi coraggio e buttai fuori tutto quello che sapevo.
"Fammi capire bene, c'è qualche creatura che vi vuole tenere imprigionate a vita, scoparvi ogni qualvolta che il potere trasmesso svanisce e tu vuoi il mio aiuto, benissimo, eccomi a disposizione, ma tu sai vero che la soluzione più semplice per te è diventare la mia..."
"Zitto! Non dirlo neanche per scherzo, io non sarò mai la tua compagna, ricordi quello che ti ho detto appena conosciuti? Io non posso essere la compagna di nessuno, per noi è la regola numero uno, la odio ma è la legge."
" Sei una sciocca Vic, se io ti reclamassi come mia compagna nessuno oserebbe avvicinarsi a te."
"Sei un semplice licantropo Eph, a chi vuoi che frega di farti fuori, il tuo branco non rischierebbe una guerra per un solo elemento, quindi smettila e aiutami. "
Lo sentii sospirare, mi piaceva Ephram, non lo avrei mai messo a rischio, solo non sapevo a chi chiedere aiuto.
"Non è proprio così ma dato che non vuoi ascoltare...Ok, la smetto, come vuoi che ti aiuti?"
"Chiedi ai tuoi compagni se hanno sentito qualcosa, se sanno da dove parte questa malsana idea, poi voglio mettere in giro la voce che i nostri poteri una volta trasmessi possono uccidere il maschio che li ha assorbiti in modo aggressivo. Insomma devono aver paura di toccarci quei luridi maiali."
"Va bene, spargo subito la voce e faccio qualche domanda in giro, inoltre chiamo Axel, è lui che si occupa di tenere informati tutti noi del branco su quello che succede in giro."
Una lacrima solitaria solco' la mia guancia, a quanto rinunciavo e quanto mi faceva stare male il privarmi del suo amore, lui non doveva sapere, lui non l'avrebbe mai saputo.
"Ephram, solo una cosa, stai attento."
"Ehi ragazza ti stai ammorbidendo, o forse sotto sotto ti importa di me?"
"Scordatelo!"
Il nostro botta e risposta continuò ancora per qualche minuto finché non conclusi la chiamata.
Speriamo vada tutto bene.
Era passata una settimana dalla riunione ed io iniziavo a scalpitare, non ero tranquilla, mi recai in studio, fuori dalla porta mi aspettavano già due persone con i rispettivi amici a quattro zampe, un vecchio golden retriever e un grosso gatto soriano che dal trasportino guardava il cane con diffidenza.
Li feci accomodare nella saletta adiacente la sala visite.
"Buongiorno, il primo arrivato può accomodarsi nello studio, indosso il camice e arrivo. "
Avvertivo una strana sensazione di pericolo, con i sensi all'erta iniziai le visite.
Il tempo scorreva lento, nel giro di poco la sala d'aspetto si era riempita di piccoli animali, mi piaceva il contatto con quelle creature, trasmettevano un'infinità di emozioni solamente guardandoti.
Ben presto arrivò l'orario di chiusura, ero stanca ma soddisfatta, mentre mi sfilavo il camice il campanello della porta d'ingresso suonò.
Mi affacciai per vedere chi era, Ephram in tutto il suo metro e novanta di muscolosa eleganza fece il suo ingresso.
"Ehi, ciao lupo, hai scoperto qualcosa?"
"Ciao Vic, ci sono novità, il mio amico ha scoperto che alcuni capi dei clan degli inferi si sono riuniti, vogliono salire al potere e per farlo gli servono tutti gli aiuti possibile, ecco che qui entrate in gioco voi camaleonti."
"Bastardi maledetti!"
"Non è tutto, in una riunione segreta si sono accordati per spartirsi le tue sorelle, per questo voglio che tu diventi mia, sai chi si è accaparrato la tua dote? Il capo dei guerrieri Crio, quello schifoso maiale ti vuole da tempo e dopo la tua ultima uscita credo che adesso sia deciso più che mai ad averti" Il mio cervello era in palla, dovevo mettere a conoscenza le mie sorelle delle loro intenzioni, dovevamo poterci difendere.
"Ephram, e' proprio per l'affetto che provo per te che non voglio metterti in mezzo ad una guerra, non voglio che tu o il tuo branco possiate essere feriti o anche peggio, uccisi, per difendere noi Camaleonti, ti prego, il tuo aiuto nello scoprire il piano dei capi clan è stato prezioso, ora lascia che ce la sbrighiamo da sole."
"Victoria tu non capisci, io non sono un semplice membro del branco io sono il capo! E poi io non provo solo affetto per te, io ho avuto l’imprinting, tu sei la mia compagna, se tu muori io sarò destinato ad una vita di dolore, quindi salti tu, salto io!"
L'abbraccio in cui mi gettai non fu solo di conforto, sentii il suo cuore inanellarsi al mio, ecco cos'era, era la fusione di due mondi, al diavolo tutto, al diavolo le regole, noi saremo più forti.
Il bacio che seguì fu la mia resa, dolce, carnale e profondamente intimo, riconoscevo finalmente la mia metà, l’accettavo e l’avrei difeso da tutti.
Passammo la notte nel mio appartamento a far l'amore, a parlare e a confidarci desideri e speranze, era uno strano destino il nostro in un mondo che non ci voleva insieme eravamo più uniti che mai.
Il mattino arrivò fin troppo presto e il risveglio non fu uno dei più rosei.
"Vic, stai zitta, c'è qualcuno in casa."
La sua mano callosa lasciò la mia bocca solo dopo che con lo sguardo gli feci capire che ero calma.
Mi fece cenno di seguirlo, solo allora realizzai che eravamo entrambi nudi. Di bene in meglio!
Sentii un fruscio e uno strano odore di zolfo, un velo di sudore mi ricoprì la pelle, ero pronta ed ero con tutti i sensi in allerta, Ephram scomparve dietro l'angolo mentre io rimasi accovacciata di fianco al letto.
Quando con un basso ringhio alla mia destra mi comunicò di essere pronto io iniziai la metamorfosi.
Piano piano il mio corpo iniziò a dissolversi, ero trasparente agli occhi di chiunque, tranne che per il mio compagno, lui poteva riconoscere il mio odore.
Un altro rumore e dalla porta della camera entrò Crio, la sua pelle coriacea era di un colore bluastro, le prime luci dell'alba lo rendevano spettrale, le zanne gli uscivano dalla bocca trasformandola in un ghigno.
Dal mio posto di fianco al letto potevo vederlo bene, io per lui invece ero invisibile.
Mi alzai e mi spostai alle sue spalle, afferrai un pesante portagioie e lo colpii forte alla tempia, nello stesso momento il mio lupo lo azzannò alla gola.
Fu un lampo, un minuto di agonia e poi il silenzio.
Fissai estasiata Ephram riprendere la sua forma umana e io stessa ripresi la mia figura, ci guardammo negli occhi e la connessione che ne scaturì mi colpì in pieno petto.
Lo sfrigolare del corpo di Crio mi riscosse, una macchia scura segnava la sagoma del corpo del demone. Afferrai velocemente una vestaglia per coprirmi e lanciai i vestiti a Ephram, li aveva lasciati appoggiati sul comò la sera prima.
"Aiutami a pulire questo casino e dopo ti offrirò una colazione da leccarsi i baffi, forza lupo, muoviamoci."
"Tu vai a preparare che a pulire penso io, poi signorina devi informare le tue sorelle di noi e della morte di questo bastardo."
Scesi al piano inferiore e andai in cucina, accesi la macchina del caffè e misi del pane a tostare, la padella sul fuoco era pronta per le uova quando Ephram mi raggiunse, mi abbracciò da dietro e sussurrando parole indecifrabili mi mordicchiò il collo.
"mmm...sai di buono!"
"Ho paura che il profumo che senti siano le uova, sei affamato e il tuo stomaco brontola."
Mi girò con un fluido movimento e appoggiò il bacino al mio, era sicuramente di nuovo pronto per me, il mio lupo era insaziabile.
"Calma lupo, dammi tregua, ieri notte mi hai girata e rigirata, lascia che le mie anche si riposino un po’, e poi ora ho fame!"
Quando si dice mangiare come un lupo non ti fa capire fino in fondo la voracità con cui si avventano sul cibo, Ephram, il mio lupo aveva sbranato tutto il cibo che avevo preparato continuando a guardarmi, era un preludio dannatamente erotico, sarei stata il suo nutrimento.
Lo squillo del telefono interruppe la connessione di sguardi, con un ringhio rispose al cellulare
"Pronto, si sono io, chi sei? Non dire cazzate lei è mia, voi non potete farle niente e questo ve lo giuro sulla mia vita!"
"Chi era? E non rispondere nessuno!"
Le sue iridi ambra si accesero di collera, stringeva il cellulare quasi a volerlo stritolare.
"Era il secondo in comando del gruppo di Crio, dice che lo aspetta da un'ora ma che non risponde neppure al cellulare, mi ha detto che era al corrente dei suoi piani, quindi Vic, credo che se entro sera non lo vede tornare ci farà una visita e non penso di cortesia, c'era una velata minaccia nella sua voce."
"Dobbiamo andare a casa dalle mie sorelle, chiama i tuoi fratelli, non voglio che corrano rischi di riflesso al tuo coinvolgimento con me."
Lungo le vie della città grosse zucche e maschere inquietanti ornavano finestre, porte e vetrine di negozi, mi piaceva questa festa, per gli umani era solamente un motivo per festeggiare, per noi dell'altro mondo era la notte in cui gli spiriti potevano entrare in contatto con noi, purtroppo anche quelli dei demoni.
Arrivati alla grotta tirai un sospiro e poggiai la mano sullo sperone di roccia, il rumore sinistro e un soffio di aria fredda ci diedero il benvenuto.
Le mie sorelle, precedentemente avvisate ci aspettavano riunite attorno al tavolo, la presenza di Ephram le innervosiva, potevo avvertire la tensione che vibrava nell'aria.
"Allora Victoria, spiegaci il tuo piano."
Calista andava subito al sodo!
"Io ed Ephram abbiamo ucciso Crio questa mattina, si era intrufolato nel mio appartamento, sicuramente non per portarmi la colazione, beh non si aspettava la presenza del lupo, un bastardo in meno!"
Un brusio si levò dalle donne sedute intorno al tavolo.
Ephram avanzò di un passo e si affiancò a me.
"Capisco la vostra perplessità nel vedermi qui, io e Victoria abbiamo deciso di fare fronte comune a questa emergenza, siamo una coppia, lei mi ha accettato come compagno, se volete i miei fratelli vi terranno al sicuro, le leggi arcaiche che vi hanno imposto possono essere modificate, riflettete su cosa è meglio per voi, l'estinzione o la congiunzione con un'altra specie?"
Ephram una volta sganciata la bomba uscì dalla stanza e raggiunse i suoi simili fuori dalla grotta, il rumoroso vociare di uomini ci aveva fatto sapere del loro arrivo.
"Sorelle spero che vogliate accogliere e sappiate essere gentili con i lupi, sono l'unica specie che non uccide solo per il gusto di farlo, mi hanno promesso protezione per tutte noi, io gli credo."
"Tu lo ami?" La voce di Kenae risuonò nel silenzio.
"Si! Lo amo."
"A me questo basta, sorelle io credo sia tempo di lasciare le vecchie leggi, parliamo con sincerità, io voglio poter crescere il mio bambino con il mio uomo!" Otto teste si voltarono simultaneamente verso di lei.
"Si vi ho mentito e no non l'ho ucciso, io provo dei sentimenti per Luke, lui è un umano ed è a conoscenza di cosa sono, non ha paura di me, lui mi ama!"
Calista sconvolta come mai l'avevo vista prese la parola.
"Ora basta! Victoria ti siamo grate per averci avvertite del pericolo, siamo certe che le tue intenzioni siano state mosse dall'amore per noi, ciò non toglie che hai trasgredito alle regole, come d'altronde tu, Kenae. Che sia chiaro che non verranno tollerate altri colpi di testa! Sarete allontanate dalla Casa, non potrete avere più contatti con noi, alle vostre sorelle sarà vietato parlare con voi o avvicinarsi alle vostre abitazioni, mi obbligate a indebolire la famiglia e se sarà la nostra fine la colpa è solo del vostro egoismo, avete anteposto i vostri desideri a noi!"
Si accasciò sulla sedia sfinita, una lacrima rigata la sua pallida guancia.
"Andatevene subito da qui, la nostra protezione non è più affar vostro!"
"Sei irragionevole e ti chiedo di ripensarci stai firmando la fine per tutte voi, io vi voglio bene ma non tornerò sui miei passi, Kenae vieni via con noi, passeremo a prendere il tuo uomo e andremo in un posto sicuro."
Mi rivolsi di nuovo a Calista.
"Spero tu possa vedere il tuo errore in tempo!"
Presi la mano di Kenae e la portai via con me.
Una volta fuori la abbracciai stretta protette dal semicerchio di uomini lupo.
"Andrà tutto bene, vedrai che Calista si ricrederà, non è una sciocca e saprà tornare sui suoi passi, ora andiamo!"
Luke era un gran bell'uomo, si vedeva che amava Kenae e il bimbo che aspettavano, li portammo con noi alla riserva sulle montagne, sarebbe stata dura ricominciare una nuova vita con gli indiani, era l'unica opportunità per noi Camaleonti di sopravvivere.
Sono passati tanti anni e la vita è stata piuttosto buona con me, purtroppo le mie sorelle guidate da Calista non sono sopravvissute alla caccia dei capi clan, hanno preferito la morte all'amore e hanno pagato con la vita.
Kenae e Luke hanno creato una bella famiglia, il fatto di essere umano è stato aggirato da un morso ben assestato nel suo didietro, sapete che la luna piena è un dramma per i lupi.
La loro primogenita è una bellissima Camaleonte mentre il secondogenito è un forte guerriero lupo, nessuno dei due però ha entrambi i poteri.
Io ed Ephram ci siamo amati per moltissimo tempo fino alla sua morte alla veneranda età di trecentocinquanta anni, siamo stati genitori per ben tre volte il nostro primogenito, Adahy, colui che vive negli alberi, il secondogenito, Enapay, colui che è senza paura e la terzogenita, Aylen che significa felice. A loro volta hanno trovato l'amore chi nella tribù chi durante viaggi rendendoci nonni di ben dieci nipoti che hanno rallegrato la nostra vecchiaia. Alcuni di loro hanno entrambi i poteri e hanno messo a dura prova la pazienza dei miei figli, crescere un ragazzino che scompare all'improvviso quando non ama ciò che ha nel piatto può diventare esasperante!
Siamo stati felici e complici in quell'amore che la fortuna ci ha donato.
Nei paesini a valle e nelle tribù delle montagne si narra ancora di un lupo che può scomparire alla vista, di una presenza nei boschi che aiuta chiunque abbia bisogno di protezione.
Chissà che non siano le mie nipotine..
Alessandra Zidda
E ORA??? ....ORA TOCCA A VOI......
Voto per “La leggenda indiana”
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RispondiEliminaVoto PHANTOM LOVER
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