PROMO DAL 13 al 17 GIUGNO DA NON PERDERE: Estratti da Caos sotto il vischio di Emmanuelle De Maupassant


Estratti da Caos sotto il vischio 

Serie “Il manuale della lady”

di Emmanuelle de Maupassant ©


Capitolo 1


Castello di Dunrannoch

23 novembre 1904


«Svegliati, Lachlan!»

Lady Balmore diede un colpetto alla spalla del marito.

Lui sbuffò e si mise a sedere diritto. «Cosa c’è, Mary? Cosa succede?»

«La porta!» sussurrò Lady Balmore. «C’è qualcuno.»

«Allora vai ad aprirla, dannazione!» Il visconte di Balmore si tirò le coperte sopra la testa, mugugnando in un linguaggio poco raffinato.

«Lachlan!» Lei lo scosse di nuovo. «Non credo si tratti di Murray o di Philpotts. Hanno bussato in un modo strano, non di certo come bussano di solito.»

«Di cosa stai parlando, donna! Bussare in un modo strano! Probabilmente si tratta delle tubature.

Torna a dormire e lasciami fare altrettanto.»

Lady Balmore appoggiò nuovamente la testa sul guanciale ma restò comunque all’erta.

Solo la notte prima, la nonna di Lachlan, la contessa vedova, aveva giurato di aver visto un’ammantata figura attraversare il suo spogliatoio. Naturalmente questa era scomparsa prima che arrivasse la cameriera.

A quanto pareva, il castello traboccava di apparizioni. C’era un guerriero senza testa che si aggirava sui bastioni, una sventurata cameriera che correva singhiozzando sul palco dei cantori, e il temibile sosia spettrale di Camdyn Dalreagh, il primo capo tribù, che si diceva suonasse una lugubre interpretazione alla cornamusa ogni qualvolta un membro del clan stava per morire.

A Lady Balmore non era mai piaciuta la brughiera, e nemmeno il castello. Non amava granché neanche coloro che vi abitavano. Era stata molto più felice nella loro adorabile residenza di Edimburgo. I negozi erano davvero eccellenti e c’erano sempre degli amici da andare a visitare. Era lì che lei e Lachlan avrebbero dovuto trovarsi; non a Dunrannoch, nel bel mezzo del nulla, dove avevano dovuto prendere il posto di Brodie.

Ma cosa si poteva fare? Era stata una cinghia sfilacciata sotto la sella del cavallo a causare la sua morte, così avevano detto, e adesso che il fratello di Lachlan non c’era più lui era stato obbligato a prendere il suo posto.


Il vecchio laird, il proprietario terriero, era costretto a letto da cinque anni e non avrebbe vissuto ancora a lungo. Lachlan sarebbe quindi diventato il conte di Dunrannoch. Lei avrebbe dovuto esserne contenta, lo sapeva, ma tutto ciò a cui riusciva a pensare era che sarebbe stata obbligata a trascorrere il resto dei suoi giorni in quella carcassa di granito umida e piena di spifferi. Era semplicemente una sofferenza insopportabile!

Chiuse gli occhi e sospirò. Doveva guardare il lato positivo – e poi mancavano solo poche settimane al periodo natalizio. Avrebbe preso con sé Bonnie e avrebbe organizzato un soggiorno prolungato negli appartamenti di Princes Street, con il pretesto di dover comprare i regali e cose del genere. Le ragazze più giovani avrebbero potuto unirsi a lei una volta completato il primo trimestre all’accademia femminile di Miss McBride, e tutte si sarebbero divertite molto.

Sì, sarebbe andata in città. Lo sapeva il cielo quanto Mary si meritasse una tregua da quella tetra dimora.

Stava quasi per appisolarsi quando si udì nuovamente bussare. Cinque colpi lenti, intervallati da una lunga pausa.

Nessuno si annunciava a quel modo.

«Lachlan!» Lady Balmore tornò a scuoterlo. «La porta!»

«Ah, stupida di una donna! Non avrò pace finché non mi avrai tirato fuori da questo letto?»

Il visconte accese la candela sul suo comodino e infilò i piedi nelle pantofole. Cercando a tastoni la vestaglia, continuò a imprecare. «Adesso vado a vedere, ma poi non voglio più sentirne parlare!»

Il corridoio era buio, fatta eccezione per il piccolo cerchio di luce attorno alla figura dell’uomo.

C’erano poche finestre, tutte strette e incassate in profondità nelle mura. Servivano una luna piena e un cielo privo di nubi per illuminare quella parte del castello.

Balmore sollevò la candela. «Non c’è un’anima, Mary. È solo la tua immaginazione che ti gioca brutti scherzi.»

Scuotendo la testa, fece per tornare indietro ma, proprio in quel momento, iniziò un lamento in lontananza. Balmore si bloccò sul posto.

Non poteva essere. Non di nuovo!

Erano passati sei interi mesi dall’ultima volta in cui avevano sentito le cornamuse spettrali, e il mattino seguente Brodie era morto. Era Camdyn Dalreagh tornato ad avvisarli ancora una volta!

Con mano tremante, Balmore si avvicinò alla balconata della scala, e sbirciò nelle profondità oscure dalle quali saliva il lugubre ululato.

Dev’essere giunta l’ora del padre. Che Dio abbia pietà di lui nel condurlo al riposo eterno. 

Balmore recitò una preghiera silenziosa.

Sarebbe opportuno andare al suo capezzale e tenere la mano del vecchio mentre passa nell’aldilà.

La camera del padre era al piano di sotto. Aggrappandosi al corrimano, andò a tastoni fino al freddo muro di pietra e ai primi gradini.

Quando Balmore sentì la corrente provocata da un movimento dietro di lui fu troppo tardi. Un forte spintone sulle reni lo scaraventò nel nulla. Atterrando sul quinto gradino, Balmore sbatté il cranio sul bordo della pietra.

Quando i passi leggeri si ritirarono, anche le cornamuse si affievolirono. La candela che gli era volata dalla mano si spense, e piombò l’oscurità.


Estratto dal capitolo 5


Alla fine, Ursula si alzò in piedi e prese i bagagli.

La logica avrebbe dettato che il sentiero conducesse al castello, quindi lei doveva semplicemente continuare a camminare fino a quando non avesse incontrato la civiltà – o qualunque cosa venisse

considerata civiltà da quelle parti.

Ignorò il tremore nel petto quando lasciò la banchina per seguire il sentiero. Il trucco era mantenere un passo rapido e tenere gli occhi fissi sul percorso per tutto il tempo. Non importava che la neve le si stava depositando sulle ciglia e che lei provava l’impulso di battere i denti. Il castello poteva essere solo a una o due miglia di distanza.

Il paesaggio era bellissimo, seppure in un modo inquietante: tutto era candido, immobile e immerso nel silenzio.

E con ogni passo, Ursula si avvicinava sempre più al momento in cui si sarebbe seduta davanti a un fuoco e le avrebbero offerto focaccine, torta di frutta candita e tè bollente.

Quanto alla questione di fingersi Miss Abernathy, lei credeva molto nel potere del fascino. In quel momento poteva non sentirsi tremendamente affascinante ma, una volta che si fosse scaldata, ne avrebbe tirato fuori un po’.

Proseguì lungo il sentiero, con il freddo alito della brughiera che le soffiava sulle guance. Il fruscio delle sue gonne contro le gambe divenne il conteggio ritmato del suo passo. Cercò di ignorare quanto le borse le facessero dolere le braccia.

Tutto le era parso immobile e silente, ma ora poteva udire l’invisibile. Acqua che scorreva nelle vicinanze. Un gracidio. Il flebile bubbolio di un gufo.

Poi qualcos’altro.

Un suono sordo in lontananza, ripetitivo, che si stava avvicinando, sebbene non riuscisse a dire da quale direzione. La nebbia e la neve cospiravano per smorzare il suono, mentre il suo fiato sembrava diventare sempre più rumoroso.

Ursula rabbrividì. «C’è qualcuno?» La voce suonò flebile.

Si spostò sul bordo del sentiero e sbirciò attraverso il pallido vapore.

C’era qualcosa nella nebbia. Si udì sbuffare e poi uno scalpitio sul terreno.

Un cervo? Non ne aveva mai visto uno, ma erano enormi, giusto?

E avevano le corna.

Ursula non era sicura cosa fosse meglio fare. Se fosse rimasta in piedi, avrebbe potuto venire infilzata da un palco di corna. Se si fosse lasciata cadere al suolo, avrebbe potuto venire calpestata dagli zoccoli.

Prima che avesse l’occasione di decidere, la creatura le fu sopra. Ursula vide le narici dilatate e gli occhi selvaggi, e gengive scoperte che mostravano enormi denti.

Non era un cervo, bensì uno stallone, e i suoi zoccoli si innalzarono sopra la testa di Ursula.

Lei lanciò un urlo.


***


«Piano, Charon!»

L’uomo fece voltare bruscamente la sua cavalcatura. «Cosa diavolo…?» Una voce profonda e dall’accento strascicato sbraitò sopra di lei. «Vi ho quasi uccisa, dannazione!»

Ursula si rannicchiò per allontanarsi dal cavallo e dal suo adirato cavaliere, incapace di ritrovare la propria voce.

Con un balzo, l’uomo scese dal cavallo e restò in piedi davanti a lei.

«In nome di tutto ciò che è sacro, cosa state facendo, andandovene in giro come uno spettro? Mi avete spaventato a morte.»

Ursula si ritrovò a fissare l’uomo più alto che avesse mai visto. Alto, dalle spalle larghe e muscoloso.

Anche agile.

Dal modo in cui aveva liberato i piedi dalle staffe con un calcio e aveva fatto passare la gamba sopra la testa dell’animale per saltare giù, sembrava muoversi come un acrobata.

Lei sbatté le palpebre. «Quanto siete g-grosso!»

Lui le sorrise lentamente.

«Voglio dire, a-alto! Molto alto!» Era congelata fino all’osso, i denti le battevano all’impazzata, eppure Ursula sentì un caldo formicolio pervaderle le guance.

«Un metro e novantotto, signora. Allevato con il grano nel cuore del Texas.» Estese la mano verso di lei. «Mi chiamo Rye ed è un grande piacere conoscervi.»

Ursula fissò la sua mano per un momento, prima di stringergliela. Era davvero tutto molto singolare.

Texas? Non era il luogo in cui vivevano i cowboy? Ciò avrebbe spiegato il suo abbigliamento: il ridicolo cappello e gli stivali dalla forma strana, ricamati e con i tacchi. Nonostante l’aria gelida, aveva il cappotto aperto e sotto portava una camicia a quadri e dei morbidi pantaloni. Legato al collo aveva un fazzoletto rosso acceso con un disegno, il viso non era rasato e la pelle era abbronzata dal sole, come un bandito.

Le sue mani, forti e decise, si spostarono sulle spalle di Ursula, e le venne da pensare che forse era lui che la stava tenendo in piedi. Non sapeva se fosse per il freddo o per lo shock di essere stata quasi calpestata, ma non riusciva più a sentire le gambe. Avevano assunto la consistenza della gelatina.

Tremando, alzò lo sguardo verso di lui. Gli occhi dell’uomo erano grigi come il quarzo, con ciglia corte e le palpebre socchiuse, e la stavano fissando.

«Sono Miss Abernathy», disse infine lei.

«Beh, Miss Abernathy, qui fa più freddo del vento del nord in Texas.» Di nuovo quella parlata strascicata, come le se stesse accarezzando la pelle con ogni parola. «Se vi siete persa, allora siamo in due, per colpa di questa dannata nebbia.»

Le si mozzò il fiato mentre gli fissava la bocca. Era deliziosamente mascolina.

«Con la neve che si sta facendo più fitta faremmo meglio ad andarcene da qui. C’è un bothy dall’altro lato. La nebbia si è sollevata proprio prima che lo sguardo mi cadesse su di voi, e sono piuttosto sicuro di aver scorto un tetto rosso laggiù.»

Senza attendere la sua risposta, l’uomo le prese le borse e le legò al retro della sella, ognuna su un lato.

«Sarete al sicuro sul davanti, con me dietro di voi. Non vi lascerò scivolare.»

Ursula guardò la mano che lui le stava tendendo.

Voleva che salisse sul cavallo con lui?

Era pazzo?

Lei non lo conosceva.

E voleva portarla in un bothy – qualunque cosa fosse – dove sarebbero stati soli.

L’uomo doveva aver notato la sua esitazione. «Non avete di che temere, signora. Charon è un demonio quando è spaventato, ma adesso starà fermo. Quanto a me, mi hanno insegnato a essere rispettoso. Vi terrò il braccio attorno alla vita, ma non mi prenderò libertà, per quanto possa essere allettante.» Le labbra gli si incurvarono in un mezzo sorriso.

Non appena le dita di Ursula toccarono quelle di lui, venne lanciata verso l’alto, il piede venne guidato nella staffa e il posteriore piombò sulla sella.

Quando lui le si sistemò dietro, Ursula percepì le cosce dell’uomo appoggiate alle proprie. Con una mano che teneva le redini, le portò l’altra attorno alla vita, attirandola contro il suo petto, e diede un lieve calcio a Charon.

Sebbene l’avesse appena incontrato, era proprio quello di cui Ursula aveva bisogno.

Una fonte di calore!

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